Invito al Desiderio 3, continua il viaggio di una viaggiatrice non vedente: “Napoli Paesaggi Sotterranei”

Lasciamo il piano dei binari e scendiamo con la scala mobile sotto la stazione per raggiungere la metropolitana. Io sono sempre sottobraccio a Fausto, la mia guida locale. Fatti pochi passi nel sotterraneo, ho la percezione di attraversare uno spazio aperto, arieggiato, dove si affacciano bar e negozi. Le persone intorno vanno e vengono. Una luce grigia, tutta milanese, piomba giù dall’alto. Sopra la mia testa, la leggerezza di uno squarcio di nuvole al posto del soffitto mi confonde. La guida mi spiega che ci troviamo al centro di Piazza Garibaldi, quella che sta sopra, davanti alla Centrale. Noi, però, camminiamo qualche piano più sotto, sotto allo stesso cielo. Mi spiega che per raggiungere i trenini della metro dobbiamo prendere altre scale mobili e scendere ancora. E aggiunge che poi, me la descriverà.

– Mi descriverà la metropolitana? A me! Non sa che a Milano abbiamo quattro linee e che la talpa-scavatrice non si ferma mai, così tra poco avremo anche la quinta? – Ho pensato.

Ferma sulla banchina, in attesa del mezzo, sento che l’audio dei video pubblicitari è meno invasivo, c’è sempre una buona ventilazione e meno persone in transito. L’ambiente è più tranquillo e rilassato rispetto a Milano. Attraversiamo le stazioni calpestando una pavimentazione liscia, circondati da pannelli colorati, blu e viola, cupole a specchio che riflettono la folla in movimento. La Stazione Dante ci offre i versi del poeta che scorrono sulle pareti, disegnati da sottili tubi di luce al neon. Sopra di noi c’è piazza Dante. Alla stazione dell’Università trovo una scultura in vetroresina, grande, brillante, una luce argentata e ferrosa insieme, è la molecola del carbonio che esploro con le mani, le giro attorno per sentirla in ogni suo atomo. La scala mobile che sale sbuca davanti alla Federico II. La fermata Municipio mostra uno squarcio sugli scavi. Si cammina accanto al Porto Antico, con le imbarcazioni ormeggiate. Sopra si apre la Piazza del Comune. Intanto arriva la metropolitana. E ancora, alla stazione del Man (Museo Archeologico Nazionale), un grande Ercole in vetroresina si riposa dalle fatiche. Lo spolvero senza temere di svegliarlo. L’originale è di sopra, nel museo. Poi, una lunghissima scala mobile ci porta alla superficie.

Di grigio caldo, basolato è la mano del Vesuvio

Lasciata la metropolitana, sempre accompagnata dalla guida, cammino per le strade e le piazze della città. Il primo elemento del paesaggio che mi colpisce è una sensazione piacevole che sento sotto i piedi. Continua, persistente, un passo dopo l’altro. Non è asfalto, perché non sento quell’effetto appiccicoso che rimanda a un’idea di sporco.

– Allora che cos’è? –

– È basolato, una pietra dal colore grigio caldo fornita dal vulcano. –

Mi spiega la guida.

La mano del Vesuvio unisce il dentro e il fuori, l’alto e il basso e noi ci siamo in mezzo. I napoletani lo sanno bene, io invece no! Forse sto cominciando adesso a sentire la sua presenza da sotto la pianta dei piedi.

È ora di pranzo e Fausto vuole farmi assaggiare il cibo di strada. Mi sembra un buon inizio. In un chioschetto compriamo una specie di tarallo condito con sugna e pepe. Negativo! Penso. Poi, una frittatina o frittura, che somiglia ad una grossa polpetta, piuttosto massiccia, ripiena di pasta di formati diversi, ragù, piselli e ricoperta di crosticina, avvolta in una carta unta e bisunta. Negativa! Per dolce assaggiamo una sfogliatella di ricotta in pasta riccia. Anche quest’ultima non mi va. Il mio stomaco non regge tanta pesantezza.

Ci inoltriamo per Via San Gregorio Armeno. Siamo alla metà di novembre e i numerosi negozi di presepi mi fanno impazzire. Gli scaffali sono carichi di scatole di cartone spalancate che contengono in bell’ordine ogni sorta di oggetti, dagli animaletti agli angioletti, dai cavolfiori alle collane d’aglio, alle trecce di cipolle, dall’infinitamente piccolo al medio e al grande. I negozianti mi lasciano toccare tutto. Io mi entusiasmo e loro, contagiati da quel mio modo di fare spontaneo e, forse un po’ puerile, aprono altre scatole, mi spiegano la tecnica di fabbricazione di certi angeli che unisce la cartapesta alla terracotta e, nel congedarmi, mi regalano un cornetto piccolissimo. Buon segno! Mi proteggerà dalla iettatura, perché una ce l’ho già. Penso e lo ripongo con cura.

Ho toccato angeli, pecorelle, agnellini, galline con pulcini e maialini grandi due centimetri, cestini di midollino intrecciato contenenti uova, ciliegie, limoni, caciotte e mozzarelle dal diametro di venti millimetri, tutti realizzati con dovizia di particolari, tutti in terracotta e modellati a mano dagli artigiani napoletani. Impossibile resistere. Ne ho acquistati molti per il mio presepe. Alcuni di loro, come il maialino Alì e la capretta Blanchine sono diventati i personaggi della fiaba “La scatola del presepe” pubblicata in questa rivista nel numero di dicembre 2021.

Con le statuine impacchettate e il cornetto benaugurante nella borsa, mi avvio verso l’albergo situato lungo il Corso Umberto, chiamato dai napoletani il Rettifilo. In fondo s’intravede il budello di Via Mezzocannone, quello della libreria di Lenù, la coprotagonista de “L’Amica Geniale” della Ferrante. (continua…)

Claudia Consonni collaboratrice IERFOP

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