A Terni la Lingua dei segni entra in ospedale

Dai bambini, ai più grandi. Per includere. Paola Torcolini, insegnante di scuola primaria diventata docente formatore presso lo Ierfop, l’ente di ricerca e formazione per la disabilità visiva. Lì lei svolge corsi di formazione anche per la lingua dei segni, nonché esperta in tiflodidattica, la didattica utilizzata per insegnare ai bambini ciechi e ipovedenti. Nel 2020 redige un progetto per un corso di formazione subito approvato dall’ospedale Santa Maria, ma viene bloccato dalla pandemia. Il discorso viene ripreso l’anno scorso con un corso propedeutico di Lingua dei segni per operatori sanitari e personale del front-office dell’ospedale: una trentina in tutto. Due lezioni a settimana per 30 ore complessive. «On line ho presentato loro una persona sorda» racconta la docente Ierfop Paola Torcolini, «e abbiamo simulato una richiesta d’aiuto in videochiamata. Loro dovevano capire di che tipo di aiuto si trattasse, farsi spiegare la via, l’abitazione, organizzare un’ambulanza. Domande e risposte tutte nella lingua dei segni. È stata un’esperienza di notevole spessore che mi hanno chiesto di ripetere.»

L’origine del progetto

«Ho uno zio sordo» racconta Paola Torcolini, «ma mio padre per paura di non poter comunicare con lui non lo ha mai invitato a casa nostra. Io l’ho cercato da adulta e tutt’ora lo frequento».

Perché questo ricordo? «Questa mia storia la racconto ai bambini» sottolinea la docente, «perché non dobbiamo avere paura della diversità in quanto la diversità ci apre un mondo, così come ha fatto mio zio con me. Ho trovato in lui una fonte di ricchezza e grazie a questo incontro ho poi costruito la mia professione».

Chi è Paola Torcolini

Paola Torcolini insegna la Lingua dei segni soprattutto ai bambini. «Il bambino che domani diventerà adulto, se comprende questa lingua, sarà capace di colloquiare e aiutare una persona con questa difficoltà». Anche perché i sordi non sono tutti uguali. «C’è il sordo segnante, l’oralista, quello che non conosce il labiale, quello che lo è diventato in tarda età o durante l’adolescenza che parla in modo stonato, ma comunque riesce a comunicare».

Da dieci anni a scuola traduce anche le canzoni nella Lingua dei segni perché è utile pure per i normodotati. «La persona sorda osserva, ha il canale visivo molto sensibile, quindi attraverso il segno e il linguaggio del corpo, la comunicazione non verbale, per lui diventa un’emozione. Ho trovato un riscontro positivo anche in bambini che hanno altre fragilità. L’ho infatti adottato in classi in cui c’erano bambini con difficoltà emotive, iperattivi, stranieri. Ho addirittura insegnato la matematica nella lingua dei segni».

La Lingua dei segni

Secondo Paola Torcolini, la lingua dei segni ha una struttura grammaticale diversa dalla lingua italiana, ma dovrebbe essere insegnata a tutti. Da qui la proposta all’azienda ospedaliera di Terni. «Ho pensato agli impiegati sordi con i quali è difficile comunicare se non si conosce la Lis e ai bambini con questa patologia che vengono inseriti in un ambiente ospedaliero».

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