Violenza contro le donne con disabilità: i dati a disposizione

Il fenomeno della violenza contro le donne con disabilità è in aumento. È quanto emerge dai (pur pochi) dati a disposizione.

A influire sulla raccolta di dati precisi è la difficoltà delle donne nell’essere credute insieme alla carenza di risorse e strumenti capaci di aiutarle e salvarle.

La mancanza di dati, la prima criticità

Questa mancanza di dati precisi e aggiornati rappresenta una grande criticità. Per affrontare il fenomeno, infatti, sarebbe necessario avere a disposizione dati maggiori e di migliore qualità.

Basti pensare come l’ultima rilevazione dell’Istat sul fenomeno risale al 2014.

Questa evidenzia come il 36 per cento di donne con disabilità abbiano subito violenze fisiche o sessuali (contro il 30 per cento delle donne senza limitazioni) siano state vittime di stupro (10 per cento, contro il 4.7 per cento), di violenza psicologica (31.4 per cento contro il 25 per cento) o vittime di stalking prima o dopo la separazione (21.6 per cento contro il 14.3 per cento di donne senza limitazioni).

La difficoltà nel denunciare e le carenze educative

Rosalba Taddeini, psicologa e responsabile dell’Osservatorio di Differenza Donna sulla violenza contro le donne con disabilità spiega: «i dati mettono in luce come le donne con disabilità subiscano più del doppio la violenza sessuale rispetto alle donne senza disabilità. Nell’esperienza il dato però è maggiore soprattutto per le donne con disabilità psichica o cognitiva, le quali faticano a riconoscere come tale la violenza sessuale».

Un secondo problema, secondo la Taddeini consiste nella percezione «quasi angelicata o asessuata, in primo luogo da parte delle famiglie. Questo pregiudizio comporta un rischio in quanto possono ritrovarsi in situazioni sconosciute».

L’ultima criticità riguarda l’ambiente scolastico. In questo contesto le ragazze con disabilità «non hanno nessun tipo di educazione sessuale scolastica e sono spesso isolate dal gruppo della scuola non avendo quindi la possibilità di un confronto tra pari. E così, tutto questo genera solitudine».

Non vanno dimenticati, inoltre, i casi di violenza online. Nello specifico sono frequenti contro le donne con disabilità, specie cognitive, dal momento che è facile vengano ricattate e circuite.

La necessità di maggiori servizi e accessibilità e formazione nei centri antiviolenza

Simona Lancioni, responsabile di “Informare un’H – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli”, sottolinea l’importanza delle attività di sensibilizzazione e di prevenzione: «se pensiamo alle campagne sulla violenza sulle donne, sono rarissime quelle che citano la situazione delle donne con disabilità e, in ogni caso, quelle accessibili sono pochissime e questo significa non fare prevenzione. Alcune cose, invece, non sono comunicate in maniera adeguata. Per esempio, il servizio antiviolenza 1522 può essere contattato anche via chat e app, informazione fondamentale nel caso di una donna sorda».

La Lancioni, inoltre, evidenzia la necessità di rendere inclusivi i centri antiviolenza non solo dal punto di vista ambientale, ma anche a livello di comunicazione, accoglienza e nelle pratiche di contrasto alla violenza poste in essere.

A tal proposito la rete dei centri antiviolenza D.i.Re. ha realizzato un’indagine per misurare i gradi di accessibilità dei centri. Di questi, l’84 per cento sono accessibili a donne con disabilità motoria; quasi il 40 per cento ha accolto un numero di donne compreso tra 1 e 5.

Il 19.4 per cento dei centri (uno su cinque) dispone di strumenti e materiali idonei per accogliere donne con disabilità motoria (esempio assenza di barriere architettoniche, servizi igienici accessibili, canali whatsapp dedicati). Solo un centro su quattro (23 per cento) utilizza la mediazione per donne non udenti e solo il 16 per cento la mediazione per donne con disabilità visiva.

Emanuele Boi

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