2 Partenza e arrivo sul Frecciarossa

Sono nella carrozza del Frecciarossa e il desiderio pulsa lento, più leggero di una piuma. L’assistente della Sala Blu ha sistemato il trolley sul portabagagli e io con la mano ho verificato la posizione. Poi mi ha mostrato la porta della toilette. Questa informazione è preziosa perché il viaggio è lungo, perciò, al bisogno a chi potrei chiedere? A un viaggiatore sarebbe inopportuno, a una signora forse sì, ma se non ci fosse nessuno seduto accanto a me? Così prendo qualche punto di riferimento e memorizzo il percorso. Queste azioni banali aiutano a calmare quel poco d’ansia che, inevitabilmente, accompagna la partenza, sia per un imprevisto, sia perché sono sola e cieca. L’operatore scende, il capotreno dà il segnale e si parte. Sul biglietto c’è scritto: Milano-Centrale-Napoli-Centrale. Due capitali, una a Nord, l’altra a Sud, una sopra, l’altra sotto. E in mezzo?

Centinaia di chilometri di niente, di vuoto, di totale assenza del paesaggio. Il tempo di percorrenza, invece, è uguale per tutti. Che effetto fa viaggiare seduti nel senso contrario a quello di marcia?

Per qualcuno è un disturbo, per altri non fa differenza, a me piace perché appoggiata con tutto il dorso, i fianchi e le cosce alla poltroncina, con i talloni verso la testa del treno e a contatto del pavimento, percepisco più chiaramente e in anticipo le accelerazioni, le vibrazioni, le curve  e le inclinazioni del mezzo. La Centrale è una stazione di testa con una larga fascia di binari orientati da Nord a Est. Ora, provate a immaginare il percorso tortuoso, segnato da rumori, scosse e vibrazioni compiuto dal Frecciarossa per attraversare gli scambi e passare da un binario all’altro, da svincoli e tratti provvisori, in un groviglio inestricabile di rotaie  e posizionarsi a Est-Sud-Est, superare il ponte sul Po, dal particolare rumore metallico e puntare deciso a Sud.

Se il paesaggio che sfila oltre il finestrino per me è il niente, nella carrozza, quello umano in generale non offre molto da raccontare al di là del prevedibile, del normale, della comune aspettativa. Così ho tutto il tempo per riflettere sul mio viaggio solitario. Mi chiedo se avrò portato i vestiti giusti, se saranno sufficienti. Mi piace abbondare per avere tutto l’agio di cambiarmi ed essere sempre adeguata alle circostanze. Ho qualche libro da leggere in treno, di notte nei momenti d’insonnia o durante un attacco di solitudine. Anche il desiderio di scrivere può farsi sentire all’improvviso e allora  nel trolley c’è il computer.

Ma perché scelgo di essere sola?

In coppia non sarebbe più bello? Con un parente o un bel gruppo organizzato avrei in un’unica soluzione compagnia e risparmio. L’esperienza vissuta in due può essere arricchente o devastante. Poiché la natura della coppia è estremamente variegata e, in quanto tale, influisce sul godimento del viaggio da molteplici punti di vista. Se poi entra in gioco la potenza dell’amore, il viaggio viene filtrato attraverso una lente speciale dal vissuto che poco si presta alla  narrazione. La presenza di più persone richiede di investire energie nelle relazioni sociali, le quali si articolano in un contesto predefinito in grado di incidere sulla sfumatura emotiva dell’esperienza. Un gruppo allegro e vivace può rendere molto gradevole il viaggio, così come la scarsa capacità di adattamento di un membro, una rinuncia, un cambio di programma, un’antipatia mal tollerata, possono appesantirlo. Queste variabili costituiscono lo sfondo, sono la trama di relazioni che caratterizzano l’umore del gruppo. Se i colori dei fili che formano l’intreccio sono inadeguati, così come le tonalità affettivo-emotive, il soggetto in primo piano perde consistenza e sbiadisce. Per non disperdere le energie rese disponibili dal desiderio e mantenere l’apertura e la concentrazione necessarie a cogliere l’essenza del viaggio è consigliabile tenere stretta nel palmo della mano la barra del timone, sentire il vento e poi proiettarsi oltre i contesti abituali, noti e rassicuranti.

Da Milano a Roma, il paesaggio sonoro interno alla carrozza è quasi silenzioso. Leggo, mi addormento per qualche minuto, mescolando nel dormiveglia letteratura e cinema. Dalla Ferrante a Erri De Luca, dalla Ortese alla Serao, a un film su Eleonora de Fonseca Pimmentel visto tanto tempo fa, tutti insieme in un’insalata napoletana che l’andatura sostenuta del treno va gonfiando.

Dopo la stazione di Roma Termini, l’atmosfera si modifica. Una signora si rivolge a me per controllare il biglietto. La sua voce è fresca, giovane, vibrante d’aria. L’accento è napoletano, discreto. Nell’intonazione della frase, però, mi colpisce una modulazione vagamente orientale. Ecco, ci siamo! Ancora una volta, come in altri viaggi, sento che i sensi si stanno affilando. Napoli è vicina. Libero la mente dall’ingombro di pensieri e suggestioni. Trascino il trolley nel corridoio per essere pronta quando il Frecciarossa aprirà le porte.

Sul marciapiede incontro Fausto, la mia guida nella città. Aspiro l’aria di Napoli. Odore di stazione e nessun segno di mare. Siamo a fine novembre, indosso abiti invernali, gli stessi della routine milanese e scopro che sono adatti al clima.

Il desiderio si muove sul palmo della mano. Vorrei essere all’interno di un palazzo, sfiorare le tappezzerie, togliere i cordoni rossi di protezione, per toccare mobilia e porcellane.

Da dove comincerà la mia guida? È un vulcanologo, quindi mi condurrà sulla vetta del Vesuvio, per le strade della città o sotto terra?

Napoli-Milano, due capitali, Sud-Nord, sotto-sopra.

La guida mi prende sottobraccio e mi fa scendere nel cuore profondo e moderno della città.

Continua…

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