Vicissitudini e retaggi sul lavoro qualificato delle persone non vedenti

È successo in provincia di Latina, protagonista Anna Rita de Bonis, traduttrice non vedente che martedì 15 febbraio si è recata presso l’ufficio preposto della città per asseverare una traduzione. Per i non addetti ai lavori l’asseverazione è un atto pubblico di un traduttore, il quale presta giuramento della propria traduzione firmando un apposito verbale. La donna si è recata all’ufficio con il documento originale e la traduzione commissionata. Dopo essersi fatta aiutare a compilare il verbale di asseverazione dalla persona che l’accompagnava, averlo firmato e dopo che l’addetto ha verificato la correttezza della procedura, a quel punto è arrivato il momento della firma da parte del pubblico ufficiale. Ed è allora che le è stato chiesto se avesse mai giurato una traduzione ottenendo la risposta che no, non lo aveva mai fatto. Lui, un po’ imbarazzato, ha proseguito riferendole che il direttore amministrativo gli aveva detto che non era possibile firmarle il documento poiché, in quanto persona non vedente, la traduttrice non poteva giurare una traduzione. Lì per lì la traduttrice non vedente è rimasta basita non sapendo cosa dire. Poi, semplicemente ha chiesto cosa c’entrasse il fatto che fosse non vedente. Tra l’altro Anna Rita De Bonis ha anche il titolo per svolgere il suo lavoro vista la sua laurea in Traduzione e Interpretazione. L’uomo, l’ha quindi invitata a seguirlo nell’ufficio del direttore amministrativo il quale ha esordito dicendo che non avrebbe potuto firmare il documento dato che, a suo avviso, Anna Rita non poteva essere l’autrice della traduzione. Di nuovo stupore. «Mi spieghi come fa un cieco a tradurre un documento e a giurare di riprodurre fedelmente il testo, senza poterlo vedere? La traduzione di certo non l’hai fatta tu». Ha obiettato il direttore amministrativo. In Italia, purtroppo, non esiste un albo professionale dei traduttori e quindi chiunque potrebbe recarsi davanti a un pubblico ufficiale ad asseverare una traduzione. Anna Rita De Bonis però non si è lasciata scoraggiare. Ha spiegato all’ufficiale di aver scansionato e tradotto il documento originale così da verificarne in seguito la corretta formattazione con l’aiuto di una persona di fiducia. Ha proseguito dicendo che avrebbe voluto conoscere i riferimenti della legge che, secondo il funzionario, vietava a un traduttore non vedente di poter giurare una traduzione. Il tutto ben sapendo come questa, di fatto, non esiste. L’uomo ha quindi suggerito a Anna Rita di indicare sul verbale la sua condizione di non vedente. Neanche su questo punto la traduttrice ha ceduto e di rimando ha dichiarato come lei non era assolutamente tenuta a segnalare la sua cecità sul verbale di asseverazione e tantomeno a sbandierarla ai quattro venti e di essere davanti a lui in qualità di traduttrice e non in quanto persona disabile e non vedente. La vicenda (sgradevole) si è conclusa con l’asseverazione del verbale lasciando però grande sconforto nella donna che si è vista contestare il proprio lavoro a causa di un pregiudizio nei confronti della disabilità. Anna Rita ha alle spalle una laurea magistrale in Interpretariato e Traduzione presso la Libera Università degli studi Luspio a Roma, oggi Unint, un tirocinio in qualità di traduttrice presso il Servizio di traduzione unità di lingua italiana del Segretariato generale del Consiglio dell’Unione europea, una collaborazione con la Humanware, un’azienda canadese con sede anche nel Regno Unito per la quale ha localizzato il software (e il relativo manuale del Braille) Note Touch+ (un dispositivo per non vedenti) ed è attualmente impegnata in un dottorato di ricerca in Intercultural Relations and International Management presso l’Università Internazionale degli Studi di Roma. È amministratrice delegata di Views Internationale e coordinatrice di Views Italia. Nonostante tutto ciò deve comunque scontrarsi quotidianamente contro una società che vede i ciechi ancora legati e relegati a mansioni come il centralino. «Ho fatto molto di più in cinque mesi di stage al Consiglio dell’Unione Europea» sottolinea Anna Rita De Bonis, «che in undici anni da centralinista. Durante lo stage ero l’unica a conoscere il software per la traduzione nonostante non mi fosse possibile utilizzarlo perché non accessibile agli screen reader, i lettori dello schermo».
Che dire: Anna Rita è solo una tra i tanti e le tante giovani con disabilità visiva che lottano per vedere riconosciute le proprie competenze in ambito lavorativo. Un cambiamento è possibile, ma dovrà partire innanzitutto dalla visione che la società ha delle persone cieche e ipovedenti. La speranza è che le nuove generazioni trovino la strada spianata verso un futuro più inclusivo.
Roberta Gatto

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