L’importanza dell’invecchiamento attivo nel mondo

Di Roberto Pili

Il presidente Ierfop Roberto Pili incontra una centenaria

L’invecchiamento attivo è stato definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) nel 2002 come “il processo di ottimizzazione delle opportunità di salute, partecipazione e sicurezza per migliorare la qualità della vita delle persone che invecchiano”. Numerosi studi internazionali testimoniano infatti il legame positivo esistente tra l’invecchiare in maniera attiva e i benefici sulla salute fisica e psicologica, inclusa la percezione di una maggiore qualità e soddisfazione della vita.

Il presidente Ierfop Roberto Pili con una centenaria

Invecchiamento attivo significa soprattutto essere attivi o attivarsi in maniera formale o informale in uno o più ambiti della sfera sociale (mercato del lavoro, volontariato, relazioni sociali, educazione permanente, assistenza a familiari con disabilità, fare i nonni, ecc.) o anche personale (attività del tempo libero, hobby, turismo, giardinaggio, musica, ecc.), scegliendo liberamente l’attività o le attività nelle quali impegnarsi, a seconda delle proprie aspirazioni e motivazioni.

In considerazione dei suoi effetti positivi sugli individui, l’invecchiamento attivo può essere considerato uno strumento di prevenzione per aspirare quanto più possibile a un invecchiamento in salute.

C’è dunque una sostanziale differenza concettuale tra invecchiamento attivo (active ageing) e invecchiamento in salute (healthy ageing), in quanto il primo è un mezzo (tra altri strumenti di prevenzione, come, ad esempio, un’alimentazione corretta, ecc.) per aspirare al secondo, che è il fine. Tuttavia, il concetto di invecchiamento attivo non riguarda soltanto la sfera individuale, in quanto i suoi benefici sono evidenti anche per la società nel suo complesso: si tratta di uno strumento utile per contribuire a risolvere alcune delle principali sfide legate all’invecchiamento della popolazione. Tra le molteplici ragioni per cui è opportuno promuovere l’invecchiamento attivo al livello macro, una delle principali è quella demografica. L’Europa, infatti, sta invecchiando ed è sempre più longeva, e ciò è ancor più vero per l’Italia.

L’invecchiamento della popolazione è, inoltre, strettamente connesso a motivi di ordine economico in quanto un numero sempre maggiore di persone in età anziana, se non “produttive” in qualche modo, peserebbe economicamente su un numero sempre minore di persone più giovani.

L’invecchiamento attivo può comportare un prolungato apporto produttivo da parte delle persone anziane (nel mercato del lavoro, nel volontariato, come tutor dei giovani, ecc.) e, al contempo, può aiutare a contenere la spesa per servizi sociosanitari e consumo di farmaci, con vantaggi per tutte le parti in gioco.

Politiche di invecchiamento attivo

Il concetto di invecchiamento attivo è da diversi anni in agenda a livello europeo ed è promosso attraverso una molteplicità di documenti ed iniziative tra le quali , a titolo esemplificativo: il Piano di Azione Internazionale di Madrid sull’Invecchiamento (Mipaa) delle Nazioni Unite, adottato dalla Seconda Assemblea Mondiale sull’Invecchiamento di Madrid nel 2002; la creazione del Partenariato Europeo per l’Innovazione sull’Invecchiamento Attivo e in Buona Salute (Eipaha) nel 2011; la designazione del 2012 come anno europeo dell’invecchiamento attivo; lo sviluppo e il lancio, nello stesso anno, dell’Indice di Invecchiamento Attivo voluto da Commissione Europea e Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite (Unece), al fine di poter misurare il livello di invecchiamento attivo in un dato contesto geografico in base a una serie di indicatori selezionati.

Nel 2019 è stata avviata un’ambiziosa iniziativa a livello nazionale che mira a dar vita ad un coordinamento partecipato multi livello delle politiche sull’invecchiamento attivo grazie ad un accordo di collaborazione triennale fra il Dipartimento per le politiche della famiglia e l’Istituto Nazionale Riposo e Cura per Anziani (Irccs Inrca). Le attività coinvolgono tutti i rilevanti stakeholder (regioni, ministeri, società civile, ricerca, ecc.) ai vari livelli nazionale, regionale e locale, per realizzare in maniera partecipata, attraverso un processo co- decisionale, un modello di interventi e “buone politiche” in materia di invecchiamento attivo. Ed è quello su cui è lavora la Comunità Mondiale della Longevità di cui sono presidente.

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