Storia di un invitato indesiderato e di un desiderio irrealizzato

È stato un lampo, una scintilla! Come il gesto rapido sull’accendino a far scattare il desiderio. Quando, sfogliando annoiata una rivista, mi sono imbattuta in un breve articolo intitolato “Tennis per non vedenti”. In quel momento, una doccia di benzodiazepine ha irrorato i miei vecchi neuroni e ho sentito correre nel sangue un flusso di energia necessaria a sostenere la volontà di concretizzare un desiderio che, come negli articoli precedenti ho raccontato, richiede alla persona non vedente maggior costanza e determinazione.

Così mi sono informata, ho contattato amici, conoscenti e, con l’aiuto delle associazioni del settore, mi sono incamminata lungo un percorso nuovo, sconosciuto, forse azzardato per la mia età, ma tant’è, l’invito al desiderio va accolto.

L’attività si svolge in un grande centro sportivo milanese situato a Nord-Ovest della città. Per raggiungerlo, percorro un tratto di strada a piedi col bastoncino bianco fino alla stazione e prendo un treno per Milano. In città, aiutata da un assistente dell’Uici, (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), salgo, prima sulla metropolitana, poi in autobus e finalmente mi trovo in un angolo speciale di Milano. Via Padova mi porge le chiavi di mondi diversi, dove un viso bianco e un accento lombardo si confondono nel paesaggio meticcio di volti e lingue. Fino a pochi anni fa, era considerata una strada periferica, degradata e mal frequentata, eppure, sprigiona un fascino tutto speciale, a cominciare dalla chiesa orientale che compare all’inizio. Oggi accoglie giovani artisti che l’hanno trasformata in una via alla moda e i prezzi degli appartamenti sono lievitati.

In una palestra spaziosa incontro gli istruttori e le persone non vedenti che si allenano. Il mio desiderio è proprio qui, vivo, concreto, in una pallina gialla che suona nell’aria come il trillo di un uccellino in volo.

   Volano gli uccelli volano

nello spazio tra le nuvole

con le regole assegnate

da questa parte dell’universo

al nostro sistema solare

aprono le ali, scendono in picchiata………

   Stormi d’uccelli neri

com’esuli pensieri

nel vespero migrar

Battiato, Carducci

Questo è il diario di un desiderio, di un’avventura sportiva migrata velocemente verso un mondo oscuro e doloroso, imprevisto e indesiderato. Un viaggio capovolto dove racchetta e pallina sono inchiodate a terra, mentre il corpo immobile, attende che il soffio del desiderio torni a spingerlo avanti.

Ora immagino che dopo aver letto queste poche righe sorga spontanea la domanda: come sia possibile giocare a tennis senza l’uso della vista.

Infatti, si tratta di uno sport adattato che prevede una riduzione delle dimensioni del campo e dell’altezza della rete, l’uso di una pallina più morbida, rispetto alla convenzionale, con al suo interno un sonaglio e la racchetta è quella utilizzata dai bambini. Questa descrizione potrebbe suggerire che sia facile da praticare, in realtà non lo è affatto. E’ necessario possedere una buona capacità di concentrazione, prontezza di riflessi e velocità di movimento.

Ho scelto di raccontare di questa esperienza sportiva che in apparenza ha poco a che vedere con le mie narrazioni di viaggio precedenti. Per almeno un paio di ragioni che ritengo coerenti con lo spirito della rivista e gli obiettivi esposti negli articoli già pubblicati: far conoscere alle persone che cercano un approccio non superficiale alla disabilità visiva alcuni aspetti originali e poco evidenti di un mondo che potrebbe, all’apparenza, sembrare estraneo e lontano.

L’altra, per una certa similitudine tra uno sport individuale quale il tennis e il mio desiderio di viaggiare sola raccontato negli scritti su Napoli. Come nel tennis, preferisco il confronto uno ad uno e sfidare un’alterità che si mette in gioco con intelligenza e determinazione per raggiungere un fine comune. Ma in questo viaggio capovolto, contro ogni aspettativa, la direzione di marcia s’inverte. Entro di schiena in galleria e qui mi fermo. Immobile, a luci spente, circondata da un paesaggio di pareti di cemento, resto in attesa.

La collaborazione tra il singolo e il gruppo mi aiuteranno a riprendere il cammino.

Claudia Consonni – collaboratrice Ierfop

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