Disturbi psichici: allarme dalla Società italiana di NeuroPsicoFarmacologia

L’appello della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia al futuro Governo e al Parlamento è chiara ed esplicita: «non dimenticate i disturbi psichici». La ragione? «La rete dei servizi pubblici di salute mentale in Italia appare sempre più povera e sempre meno capace di intercettare il disagio psichico giovanile».

L’appello è del 10 ottobre, in occasione della Giornata Mondiale sulla Salute Mentale ma anche il Global Mental Health Summit ospitato in questi giorni a Roma condivide i pericoli imminenti.  L’attuale fase sociale dove migliaia di famiglie, di aziende, di imprenditori, di cittadini vedono il proprio lavoro e il proprio futuro a rischio avrà come conseguenza i disagi psichici subito dopo quelli economici.

I numeri
Ogni anno 84 milioni di europei sono colpiti da un problema di salute mentale. Di questi, circa 80mila persone muoiono per disturbi mentali e in seguito di suicidio. Dopo che la pandemia ha peggiorato la salute mentale globale, per coloro che già prima erano in evidente difficoltà di accesso alle cure, sono ancor di più oggi le persone che non ricevono un trattamento tempestivo e adeguato a causa di atteggiamenti negativi verso i servizi di salute mentale.

Gli strumenti di cura vedono divari ancora molto evidenti tra i vari Paesi dell’Unione Europea. Il risultato? Si conferma la stima come entro il 2030 i disturbi depressivi saranno la principale causa di disabilità nei Paesi ad alto reddito. Uno scenario davvero preoccupante.

In Italia
Nonostante questi numeri ben noti, in Italia da anni si sta invece osservando un progressivo cedimento strutturale di molte delle articolazioni territoriali e ospedaliere della salute mentale: un calo dei dipartimenti da 183 a 141, una riduzione significativa dei posti letto nei reparti ospedalieri attorno al 10 per cento (-400), un aumento di tutte le situazioni residenziali e di non restituzione alla vita normale.

La conferenza Stato-Regioni ha (aveva) fissato al 5 per cento la quota destinata alla salute mentale del fondo sanitario nazionale che per il 2022 è di 122 miliardi di euro. Non solo una percentuale ampiamente insufficiente (in Europa siamo al 10 per cento), ma regolarmente disattesa. Insomma, una chimera perché la media di stanziamento effettiva delle Regioni è di circa il 3 per cento in media.

Gli utenti sono scesi in maniera inesorabile dagli 850mila del 2017 a meno di 730mila nel 2020 di cui un’ampia percentuale al di sopra dei 45 anni e questo non è un buon segno in quanto indicatore di una lenta perdita di appeal per le strutture pubbliche con un evidente danno a tutta la salute mentale.

Il personale medico

A tutto questo si aggiunge la fuga del personale medico e infermieristico da dipartimenti già sotto organico da anni. Nel 2025 mancheranno altri mille psichiatri tra pensionamenti e dimissioni come emerge da uno studio recente di Anaao-Assomed e circa 9mila tra infermieri, psicologi, assistenti sociali, terapisti della riabilitazione.

La rete dei servizi pubblici di salute mentale appare sempre più povera, sempre meno capace di intercettare il disagio psichico giovanile nonostante, con la pandemia, rappresenti una vera e propria emergenza.

Che fare
A 44 anni dalla riforma psichiatrica diventa necessario fare il punto e attivare una Agenzia Nazionale per la Salute Mentale che possa rivedere a 360° il settore e che solo un governo politico, con di fronte una nuova legislatura, può programmare. I valori dovranno essere quelli dell’Agenzia Nazionale per la Coesione Territoriale. Il Governo che lo farà sarà il primo a dichiarare la salute mentale un diritto fondamentale delle persone. Un lascito di civiltà alle future generazioni.

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