31 ottobre: l’Halloween sardo tra riti pagani e miti ancestrali

Giunta fino a noi da oltreoceano, controversa e osteggiata da quanti la ritengono una contaminazione delle nostre tradizioni, la festa di Halloween si celebra ormai anche nel nostro Paese tra zucche, mostri, streghe e vampiri: una sorta di Carnevale del terrore che diverte grandi e piccini.

Dietro la festa commerciale, si nasconde una tradizione antica che prende vita dalle popolazioni celtiche , in quella terra d’Irlanda che tanto ha in comune con la Sardegna, in primis l’insularità, passando poi per le conquiste da parte di popoli stranieri e giungendo infine a tutta una serie di rituali pagani e antiche leggende.

Tra queste, la celebrazione del 31 ottobre, Samaìn per gli antichi celti, isAnimas, Su ‘ene ‘e sas ànimas, Su MortuMortu, Peti cocone e Su Prugadòriu per i sardi (non sappiamo come fosse chiamata dai nuragici) in cui il mondo dei vivi può entrare in contatto con quello dei morti. Ma c’è molto di più.

Dalla luce al buio

Da sempre considerato uno dei due grandi periodi di passaggio in cui si può dividere l’anno solare, il 31 ottobre segna la fine dell’estate e il ritorno dell’inverno. Un passaggio da una stagione di luce a una più buia, non solo in termini di quantità di ore di luce (in questo periodo le giornate si accorciano e l’orologio torna indietro di un’ora), ma anche in senso più profondo e legato alla spiritualità. È infatti il periodo in cui ringraziare per ciò che si è ricevuto durante l’anno e soffermarsi sul proprio mondo interiore, accogliere la parte più oscura e profonda del sé.

I riti in Sardegna

Le usanze nella nostra isola variano da zona a zona e prendono diversi nomi, come detto e tutte fanno riferimento alle anime dei defunti.

La notte del 31 i bambini erano soliti bussare alle porte delle case portando con sé una semplice federa bianca da riempire con caramelle, dolci, frutta secca, agrumi, grano cotto (trigucottu), ceci cotti conditi col vincotto (cigirispistiddau) e pane (più raramente denaro) che ogni famiglia donava per onorare i defunti e favorire la buona sorte.

Nel sud dell’isola si era soliti lasciare la tavola imbandita fino all’alba per i morti, avendo cura di rimuovere le posate, e dare ciò che i morti non avevano consumato ai poveri.

Per l’occasione le famiglie preparavano dei dolci tipici, le pabassinas o isossus ‘e mortus, realizzati con materie prime tipiche della tradizione dolciaria sarda come l’uva passa e le mandorle.

Le Zucche: sas concas ‘e mortu

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, le zucche intagliate non sono un’esclusiva della tradizione anglossassone.

In Sardegna, infatti, si usa intagliare le zucche in sostituzione di un antico rituale agricolo dedicato a Maimone, divinità della pioggia, che consisteva nell’esporre i teschi dei defunti per invocare i rovesci.

A Gadoni, in Barbagia, questa tradizione si affianca a quella de “IsFraccheras”: il momento centrale del rito consiste nel dar fuoco a lunghe fascine di asfodelo che gli uomini portano a spalla correndo per le vie del paese, spargendone le ceneri ed evitando che le fascine si spengano. L’abilità consiste nel riuscire a rientrare con la fascina consumata quasi del tutto.

Isfraccheras si svolge la sera del 2 novembre, ma la ritualità comincia già dal giorno precedente con una lunghissima sequenza di campane a morto (l’agonia). La mattina del 2 poi, il parroco celebra nel cimitero la messa della commemorazione dei defunti, dopodiché soffermandosi su ogni tomba, recita una serie di preghiere dette Isassoluziones. Un tempo era uso mettere sulla croce delle tombe una ghirlanda di pervinca (proinca), abbellita con fiori di carta colorata, non essendo novembre periodo di fioritura della pianta. Nel pomeriggio, poche ore prima che iniziasse il rito col fuoco, il parroco andava di casa in casa per raccogliere offerte in denaro o viveri (frutta secca, patate, dolci, destinate pro sas animas (per le anime dei morti).

La scelta dell’asfodelo richiama la tradizione greco – romana secondo cui tale pianta era associata ai defunti.

Leggende del 31 ottobre

Nel Campidano si racconta la storia di Maria Punta Oru, una donna morta di fame sognando un piatto di pasta. La donna girava con uno spiedo in mano e minacciava di bucare la pancia ai bambini che la notte del 1 novembre avevano mangiato troppi dolci senza lasciarne per i defunti.

Streghe, vampiri e licantropi: anche la Sardegna ha i suoi mostri

Tra le figure più spaventose dell’immaginario sardo non possiamo dimenticare sa coga, (detta anche surbileo, stria) strega- vampiro che durante la notte prendeva sembianze animali e girava di paese in paese alla ricerca di bambini, spesso neonati, a cui succhiare il sangue.

C’è poi S’Archittu, dalle leggende barbaricine, un uomo macchiatosi di gravi colpe che, attraverso un incantesimo, può trasformarsi in un grosso bue dalle corna d’argento nelle notti di luna piena. Una sorta di licantropo della tradizione popolare sarda, che si conferma all’altezza dei miti d’oltremare nel consegnarci una festa del 31 ottobre… da brividi.

Roberta Gatto

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