Vita sociale e lavorativa delle persone con sindrome di Down: i dati 2022

“Non uno di meno. La presa in carico delle persone con sindrome di Down per il perseguimento del miglior stato di salute e la loro piena integrazione sociale”. È questa la ricerca condotta dal Censis insieme all’ Associazione italiana persone Down (Aipd) e presentata in Campidoglio in occasione del convegno “Percorsi di autonomia a Roma” promosso dall’assessorato alle Politiche Sociali e alla Salute di Roma Capitale in collaborazione con Aipd sezione di Roma.

Dal mese di marzo a maggio 2022, la somministrazione di quasi 1.200 questionari raccolti su tutto il territorio nazionale tramite le 38 sedi Aipd coinvolte ha fatto il punto sulla situazione socio – affettiva e lavorativa delle persone con sindrome di Down.

Cosa è emerso

Fino ai 6 anni, l’80 per cento dei bambini con sindrome di Down frequenta il nido, la scuola per l’infanzia o la primaria. Tra i 7 e i 14 anni la percentuale sale al 99,1 per cento per poi scendere sotto al 50 per cento (48,8 per cento) tra i 15 e i 24 anni. Il restante 16,4 per cento sta a casa, il 10,9 per cento frequenta un centro diurno, il 5,7 per cento un corso di formazione professionale e l’11,1 per cento lavora.

Tra i 25 e i 44 anni solo il 39,3 per cento delle persone con sindrome di Down ha un impiego mentre il 27,6 per cento risulta inoccupato.

Dopo i 44 anni, la percentuale di chi lavora si abbassa drasticamente (9,1 per cento), il restante 41,3 per cento frequenta un centro diurno e ben il 44,8 per cento non è occupato e resta a casa.

Carenza di servizi

Dai dati emerge quindi una situazione che vede le persone adulte con sindrome di Down soffrire della carenza di servizi adeguati al loro inserimento lavorativo e di progetti pensati per favorirne l’inclusione sociale. Stando sempre ai dati della ricerca, la situazione è più grave al sud dove riguarda ben il 33 per cento del campione intervistato a fronte dell’8,8 per cento delle regioni del Nord Est. E più le persone stanno a casa, più aumenta la percezione del livello di disabilità da parte dei loro caregiver come spiega Anna Contardi, coordinatrice nazionale di Aipd che ha seguito l’indagine: «superati i 45 anni, la disabilità viene percepita come grave dal 20,9 per cento degli interessati e come molto grave dal 18,6 per cento con una netta impennata rispetto alla fascia d’età 25-44 anni, quando la disabilità è percepita grave dall’8,2 per cento e molto grave appena dall’1 per cento».

Il lavoro

Il 13,3 per cento delle persone con sindrome di Down ha un contratto da dipendente o collaboratore, il 35,2 per cento di questi percepisce un compenso minimo, il 35,1 per cento un compenso normale.

Per quanto riguarda l’accesso ai servizi, la ricerca ha chiesto ai caregiver se nella propria Asl di appartenenza fosse presente un servizio pubblico o convenzionato dedicato alle persone con disabilità intellettiva. Poco meno della metà ha segnalato la presenza di questa tipologia di servizio. Il 28,8 per cento non è informato, mentre il 23,7 per cento dichiara che questa tipologia di servizio non è presente.

I servizi sociali

Dall’indagine è inoltre emerso come solo il 26 per cento del campione usufruisce di un piano personalizzato di presa in carico da parte del servizio pubblico mentre il 24 per cento afferma che è stato predisposto ma è solo formale e/o ha una applicazione parziale mentre nella metà dei casi il piano non è stato predisposto. Ancora una volta emergono differenze significative a livello territoriale: al Sud il 73,2 per cento dei caregiver afferma come il piano per la presa in carico della persona con sindrome di Down di cui si occupa non è mai stato realizzato.

Dal punto di vista della vita sociale quella delle persone con sindrome di Down si esprime per lo più in attività strutturate mentre risulta molto difficoltosa nelle attività informali: oltre il 50 per cento non riceve mai amici e non va a casa di amici e oltre il 60 per cento non esce mai con amici. Quasi il 90 per cento partecipa invece ad attività sportive o simili, il 24 per cento ha una vita relazionale affettiva e il 2,5 per cento ha una relazione sessuale, percentuale quest’ultima che sale a 4,3 per cento tra i 25 e i 44 anni.

Le difficoltà principali

In generale, la ricerca mette in evidenza come le difficoltà principali incontrate dai caregiver riguardino l’integrazione nella scuola e nella società (51,3 per cento) così come la fatica a orientarsi tra i servizi sociali e sanitari (48,1 per cento).

Dal punto di vista dell’assistenza, i problemi sono invece il reperimento di informazioni per capire a chi rivolgersi per ottenere i servizi (44,1 per cento), la perdita di riferimenti nel momento in cui si esce dal circuito scolastico (38,1 per cento) e la continuità della presa in carico nel momento del passaggio alla maggiore età (26,1 per cento).

Le famiglie italiane chiedono quindi di potenziare in via prioritaria i progetti di educazione all’autonomia e i percorsi di preparazione alla vita indipendente, l’offerta di servizi per il tempo libero, le politiche di inclusione lavorativa e la presa in carico complessiva della persona.

Emanuela Gatto

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