Persone con disabilità in Italia: mancano i numeri certi e si difetta nella definizione

Mancano le basi per stabilire quali politiche attuare e a quanto debba effettivamente ammontare l’importo dei finanziamenti. È la situazione che vive l’Italia, dove i dati sulla disabilità sono poco affidabili e sembrano non rispecchiare la reale condizione dei cittadini.

Come vengono ottenuti i dati

Le stime sul numero di persone con disabilità in Italia vengono ottenute tramite sondaggi, quindi risultano approssimative e rendono difficile capire se i fondi destinati a finanziare servizi indispensabili (come quelli dedicati ai caregiver) siano sufficienti.

La legge di Bilancio approvata alla fine dello scorso anno ha portato i fondi destinati alle politiche per le persone con disabilità dai 300 milioni di euro previsti per il 2022 a 350 milioni all’anno fino al 2026. La mancanza, però di dati certi è un grosso problema a cui l’Istat, l’istituto nazionale di statistica sta cercando faticosamente di rimediare.

L’Istat ottiene infatti i dati attraverso un’indagine generale chiamata “Aspetti della vita quotidiana” somministrata a un campione di 20mila famiglie o 50mila persone. Si tratta di una serie di domande poste e che riguardano la gravità delle limitazioni della disabilità offrendo la scelta di definirla nella vita quotidiana come grave, non grave e nulla.

Le stime

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), il 15 per cento della popolazione mondiale, almeno un miliardo di persone, presenta una qualche forma di disabilità. Si tratta di una percentuale che sta progressivamente aumentando anche per via dell’allungarsi delle prospettive di vita.

L’ultima stima diffusa delle persone con disabilità in Italia (come risulta dalla piattaforma “Disabilità in cifre” realizzata dall’Istat nel 2019) calcola un numero attorno ai 3 milioni e 100 mila, pari al 5,2 per cento della popolazione.

Le isole presentano la percentuale più alta di persone con disabilità, con il 6,5 per cento in Sardegna e Sicilia, mentre il Nord Ovest presenta l’incidenza più bassa (4,5 per cento).

A livello regionale, la Sardegna, con il 7,9 per cento, è la regione con la percentuale più alta, seguita dall’Umbria con il 6,9 per cento. Campania, Lombardia e Trentino-Alto Adige sono, invece, le regioni con l’incidenza più bassa: rispettivamente il 4,4 per cento, 4,1 e 3,8 per cento.

L’incidenza è molto alta tra le persone anziane: quasi 1 milione e mezzo di ultra settantacinquenni, cioè più del 20 per cento della popolazione in quella fascia di età e un milione tra loro sono donne. Le persone con limitazioni gravi hanno un’età media più elevata di quella del resto della popolazione: 67,5 contro 39,3 anni. Il 29 per cento vive da solo, il 27,4 per cento con il coniuge, il 16,2 per cento con il coniuge e i figli, il 7,4 per cento con i figli e senza coniuge, circa il 9 per cento con uno o entrambi i genitori, il restante 11 per cento circa vive in altre tipologie di nucleo familiare.

Dati non certi

I dati attuali sono autoriferiti, cioè basati sulle risposte delle persone ai sondaggi e quindi per avere stime più affidabili servirebbe un campionamento più specifico rispetto a quello attuale.

Questo limite sarà parzialmente superato da un progetto a cui Istat sta lavorando da tempo e che riguarderebbe un nuovo registro sulla disabilità. «Ci saranno diversi livelli di approfondimento perché attraverso le certificazioni digitalizzate dall’Inps è stato possibile identificare quante sono le persone con deficit di salute» spiega Alessandro Solipaca, ricercatore di Istat e membro dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, «in futuro saranno disponibili informazioni statistiche più appropriate secondo i criteri e i diritti previsti dalla convenzione dell’Onu e verranno progettate indagini statistiche ad hoc sulla disabilità». Permettendo così di migliorare la qualità delle informazioni in generale anche su singoli ambiti dell’inclusione. I provvedimenti presi dal Governo potranno così individuare più chiaramente le persone a cui sono rivolti i servizi.

Le conseguenze

Una delle conseguenze di questa carenza di dati è che tutte le politiche di sostegno e assistenza vengono così finanziate in modo insufficiente o inefficace. Per esempio, le politiche di accesso al lavoro sono state ispirate al principio della valorizzazione delle capacità degli individui anche con lo scopo di favorire la dignità e il diritto all’indipendenza economica. I livelli occupazionali delle persone con disabilità sono però ancora molto bassi e spesso vengono relegati a svolgere mansioni secondarie nonostante la presenza di leggi specifiche come la 68 del 1999 sul collocamento mirato e la  Legge 381 del 1991 sul ruolo delle cooperative sociali di tipo B per l’inserimento lavorativo di persone disabili. Tutto questo ha portato in passato a sanzioni da parte dell’Unione Europea. Proprio a luglio 2013, la Corte di Giustizia dell’UE ha condannato l’Italia per non aver applicato in maniera adeguata i principi internazionali in materia di diritto al lavoro per le persone disabili.

Definire la disabilità

Il problema principale sembra derivare dalla difficoltà di delineare in modo univoco il concetto di disabilità: questo porterebbe per forza di cose a trascurare alcune categorie di persone andando a inficiare ulteriormente l’attendibilità dei dati.

Secondo il “Modello Sociale”, la disabilità è il risultato di un’interazione tra il livello di limitazione individuale fisica o sensoriale o cognitiva o mentale e il contesto di vita. La disabilità è dunque in gran parte una conseguenza di fattori sociali e quindi, se il contesto è poco accessibile o inclusivo, la disabilità aumenta.

In Italia, questa nuova definizione di disabilità è stata proposta con la classificazione Icf (International Classification of Functioning, Disability and Health) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità approvata nel 2001. Qui la disabilità non è più concepita come riduzione delle capacità funzionali determinata da una diagnosi medica, bensì viene definita come “il termine ombrello per menomazioni, limitazioni dell’attività e restrizioni alla partecipazione. Esso indica gli aspetti negativi dell’interazione tra un individuo (con una condizione di salute) e i fattori contestuali di quell’individuo”.

Proprio facendo riferimento alla concettualizzazione dell’Icf, nella Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità del 2006 (ratificata dall’Italia nel 2009) si afferma che, “le persone con disabilità includono quanti hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine che in interazione con varie barriere possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri”.

Roberta Gatto

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