25 novembre, si celebra la Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne

«Una delle violazioni dei diritti umani più diffuse, persistenti e devastanti che, a oggi, non viene denunciata a causa dell’impunità, del silenzio, della stigmatizzazione e della vergogna che la caratterizzano».

Queste le parole con cui la violenza sulle donne viene definita nella risoluzione 54/134 istituita dalle Nazioni Unite il 17 dicembre 1999.

Già nel 1993 l’Assemblea Generale aveva stilato una Dichiarazione sull’Eliminazione della Violenza contro le Donne in cui all’articolo 1 viene data la definizione di «Qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata».

Mai come oggi l’argomento è al centro dell’opinione pubblica, soprattutto in seguito ai recenti fatti di cronaca che hanno portato ancora una volta all’attenzione del mondo un Paese come l’Iran.

Mahsa Amini e le proteste delle donne iraniane

È successo lo scorso settembre al funerale di Mahsa Amini, la ventiduenne uccisa dalla polizia morale iraniana per aver messo male lo hijab, il velo che copre il capo e il collo ma lascia il volto scoperto. Le manifestanti hanno sfilato senza indossarlo e hanno inneggiato contro la dittatura e contro la violenza della polizia morale iraniana. A loro si è unita Gohar Eshghi, l’ottantenne madre del blogger e attivista politico Sattar Beheshti, (arrestato dieci anni fa e morto nel carcere di Teheran), che attraverso un video diventato virale ha protestato togliendosi il velo e incoraggiando alla ribellione.

La scelta del 25 novembre

Un altro femminicidio a opera di una dittatura è alla base della scelta di celebrare la data del 25 novembre: in tale giorno, infatti, furono uccise nel 1960, in Repubblica dominicana, le sorelle Mirabal , attiviste politiche stuprate, torturate, strangolate e gettate in un precipizio per ordine del dittatore Rafael Leónidas Trujillo.

Perché è necessario parlare di violenza contro le donne

Esistono forme di violenza che solo le donne subiscono (aborto forzato, mutilazione genitale femminile) o che le donne sperimentano molto più spesso degli uomini (violenza sessuale e stupro, stalking, molestie sessuali, violenza domestica, matrimonio forzato, sterilizzazione forzata).

Secondo il Report del Servizio analisi criminale della Direzione Centrale Polizia Criminale (aggiornato al 6 marzo 2022 ), in media, da gennaio a dicembre del 2021 le vittime di femminicidio in Italia sono state una ogni tre giorni, 119 in tutto, 98 in ambito familiare e affettivo, 66 uccise da partner o ex partner.

Secondo i dati dell’Istat, Il 31,5 per cento delle 16-70enni (6 milioni 788mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2 per cento (4 milioni 353mila) ha subìto violenza fisica, il 21 per cento (4 milioni 520mila) violenza sessuale, il 5,4 per cento (1 milione 157mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652mila) e il tentato stupro (746mila).

Nel 2021 sono state 15mila le donne che hanno contattato il numero contro violenze e stalking. Di queste, oltre il 65 per cento si riferisce a violenze che vanno avanti da anni.

Dati che fanno riflettere, soprattutto se affiancati a quelli di una ricerca Istat del 2018, da cui è emerso che anche gli uomini sono vittime del sistema patriarcale di cui femminicidi e violenze di genere continuano a essere una triste eredità. Nel nostro Paese nel periodo 2015-2016, 3 milioni 754mila uomini (corrispondenti al 18,8 per cento del totale) hanno subìto abusi sessuali nel corso della loro vita e gli uomini vittime di molestie sessuali, prima dei 18 anni, sono stati 435mila, pari al 2,2 per cento.

L’Istat ha rilevato come gli autori di tali molestie risultino in larga prevalenza uomini: “Lo sono per il 97 per cento delle vittime donne e per l’85,4 per cento delle vittime uomini”. Da notare come i numeri potrebbero essere sottostimati visto come spesso gli uomini provano vergogna o timore di non essere creduti: altro triste retaggio della cultura machista.

Dal confronto emerge quindi la necessità che uomini e donne siano uniti nella lotta alla violenza di genere e che le nuove generazioni vengano educate al rispetto dell’altro, all’uguaglianza di genere, alla sessualità e alle relazioni sane.

La legge in Italia

«I femminicidi non sono omicidi qualsiasi: sono donne uccise in quanto donne, vittime di una violenza che si nutre di ignoranza, pregiudizi e omertà» ha detto la presidente del Senato Elisabetta Casellati. «Non sono quasi mai delitti d’impeto, ma l’apice di un’escalation di violenze, prevaricazioni e soprusi che troppo spesso vengono ignorati, sottovalutati o, peggio, non denunciati. Ed è questa la principale debolezza del sistema».

Fino al 1975, nel nostro Paese, esisteva l’articolo 144 del Codice Civile denominato“potestà maritale”, secondo il quale il marito era il capo della famiglia, la moglie doveva assumerne il cognome ed era obbligata ad accompagnarlo dovunque egli avesse ritenuto “opportuno di fissare la sua residenza”.

Oggi, dopo quasi cinquant’anni, non esiste ancora in Italia una legge che inasprisca le pene per chi commette atti discriminatori o di violenza fondati su genere e identità di genere (proposta dal disegno di legge Zan), come invece richiederebbe la convenzione di Istanbul che è stata ratificata da 47 paesi tra cui anche l’Italia.

La legge 69

Chiamata anche Codice Rosso, la legge 69 approvata nel 2019, si compone di 21 articoli che modificano e rinnovano quelle parti del codice penale relativi a violenza domestica e di genere e relative sanzioni.

Vengono introdotti quattro nuovi reati: diffusione illecita di immagini o video senza consenso delle persone rappresentate (revenge porn), deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni, il reato di costrizione o induzione al matrimonio e infine violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Auspicabilmente, un ulteriore passo avanti a livello europeo sarebbe il riconoscimento da parte dell’Ue della violenza di genere non solo contro le donne ma contro la comunità Lgbtq al pari di altri reati come traffico di esseri umani e terrorismo, regolamentati su base comunitaria.

Roberta Gatto

Lascia un commento