Sessualità delle persone con disabilità, troppi tabù e poca informazione

L’Italia non sembra brillare nell’ambito dell’educazione alla sessualità e a spiegare meglio questa considerazione, basti pensare come nel nostro Paese l’educazione sessuale non è materia obbligatoria nelle scuole. A differenza di quanto accade invece in altri Paesi dell’Unione Europea.

Un tabù, quindi, che va a penalizzare tutti i cittadini e le cittadine italiane e soprattutto le persone con disabilità a cui viene negato un vero e proprio diritto costituzionale.

Gli assistenti alla sessualità

Le figure che si occupano del benessere sessuale delle persone con disabilità sono professionisti provenienti principalmente dall’ambito socio sanitario (educatori, psicologi, assistenti sociali, infermieri ecc.), ma la professione è aperta a chiunque abbia la capacità di relazionarsi con la sfera sessuale in modo giocoso, empatico e libero da pregiudizi.

L’obiettivo di questi “operatori all’emotività, all’affettività, alla corporeità e alla sessualità” (Oeas) è quello di restituire alle persone con disabilità fisica, sensoriale e cognitiva il benessere psicofisico derivante da una sessualità che va di pari passo con la scoperta del proprio corpo, delle emozioni e del piacere.

Non si tratta di sex worker, in quanto gli incontri tra terapeuta e paziente sarebbero in numero limitato e non sfocerebbero in un rapporto completo, ma di veri e propri operatori del benessere riconosciuti anche a livello fiscale e preparati da corsi di formazione specifica.

La situazione attuale

Recentemente, il tema è stato riportato all’attenzione pubblica dal consigliere regionale toscano del Pd Iacopo Melio. Lo stesso, si dice scettico sulla possibilità che questa legislatura possa discutere una legge a riguardo:

«Tutte le questioni legate alla sessualità nel Parlamento italiano hanno sempre avuto una grandissima difficoltà ad andare avanti. Pensiamo ai diritti lgbt+ e alle unioni civili: quando si parla di famiglia e diritti sessuali o riproduttivi, il percorso diventa sempre ostico».

A occuparsi della sessualità dei più fragili sono a oggi famiglie e caregiver, con tutte le conseguenze negative che tale compito comporta. Le famiglie, sottolinea Melio, «non hanno gli strumenti e i servizi adeguati, né ovviamente le competenze per affrontare il tema. Alcuni caregiver sono costretti a portare i loro figli e le loro figlie da sex worker. il che (a parer mio) non comporta niente di male, salvo ritrovarsi in un regime non regolamentato. È bene però chiarire» sottolinea ancora Melio, «come questa strada non è comunque un qualcosa di specificamente terapeutico, per quanto il sesso dia a prescindere, tendenzialmente, benefici psicofisici. Altri ancora, dai numerosi messaggi che ricevo, sono costretti a sopperire in prima persona ai bisogni di figli e figlie e questo è doveroso raccontarlo per quanto sia straziante e abominevole. Ecco perché dovrebbe essere riconosciuta la qualifica di Oeas».

Le iniziative in Italia

Già nel 2013 si è iniziato a fare qualcosa di concreto in questo senso, nonostante dopo quasi dieci anni non ci sia ancora una legge a riguardo.

Infatti, grazie all’associazione Lovegiver, fondata e presieduta da Max Ulivieri, in Italia abbiamo diversi operatori e operatrici che si occupano dei bisogni sessuali delle persone con disabilità.

«In attesa dei lunghi tempi della politica» spiega Ulivieri, «noi stiamo andando avanti con i nostri corsi di formazione perché il tempo per queste persone è spesso poco e molto prezioso. Può essere una specializzazione di un percorso più ampio di assistenza oppure si può diventare Oeas. Per quest’ultima opzione bisogna affrontare un test di accesso con i nostri psicologi, viene indagato il livello di empatia e la capacità di mettersi in gioco. Alla fine delle 200 ore di formazione e 100 di tirocinio si diventa Oeas e fiscalmente si risulta essere riconosciuti come un operatore al benessere psicofisico della persona».

La necessità di una legge

La proposta di legge presentata nel 2014, per quanto apprezzabile, contiene diverse lacune relative, ad esempio, alla sicurezza, un aspetto «fondamentale sempre, a maggior ragione in un Paese dove la maggior parte delle donne con disabilità subisce una molestia»fa notare Melio.

Non tutte le disabilità poi sono uguali, così come le esigenze a esse correlate. Molte persone con disabilità hanno relazioni stabili, si sposano, hanno figli, dunque non necessitano affatto di questi professionisti.

Spesso tuttavia, si tende a identificare alcune persone con disabilità con degli eterni bambini, privi di qualsiasi pulsione sessuale, o al contrario ipersessuali, cioè incapaci di controllare tali impulsi in pubblico.

Questo accade soprattutto con le disabilità cognitive e non fa altro che alimentare tabù, paure e pregiudizi, mentre è fondamentale discutere della sessualità di queste persone come lo si fa di altri aspetti relativi alla vita quotidiana.

Cultura e formazione, quindi, per poter dare anche alle persone con disabilità che lo necessitano la possibilità di vivere una vita affettiva e sessuale appagante e sana.

Roberta Gatto

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