Immigrati: problema o risorsa da cui attingere?

Il problema dei troppi immigrati in Italia? «Ne servono almeno centomila l’anno per non far morire la nostra agricoltura e la nostra sovranità alimentare». A parlare è il presidente nazionale di Coldiretti Ettore Prandini. Una voce fuori dal coro proveniente da un settore produttivo dove la forza lavoro rappresentata dagli immigrati svolge un ruolo decisivo, soprattutto nel Sud Italia. Eppure, dal Governo si parla di emergenza quando si contano i centomila migranti sbarcati nel 2022.

Libro Bianco

Nel Libro Bianco della Fondazione Ismu («sul governo delle migrazioni economiche») a cura della sociologa Laura Zanfrini si legge dello scenario demografico penalizzante dove si assiste alla grande fuga dei giovani meridionali (più di un milione in vent’anni, ed è questa, forse, la vera migrazione che dovrebbe preoccupare). Si legge anche della competizione difficile per un’immigrazione qualificata e della sua contaminazione con una subcultura dell’illegalità che strangola il mercato del lavoro.

E poi, ancora, il quadro normativo e burocratico che rende poco attrattivo il Belpaese per la “meglio gioventù” extracomunitaria.

Popolazione attiva

Le forze lavoro immigrate sono ormai il 10,7 per cento della popolazione attiva e il loro contributo al bilancio nazionale è decisivo con 144 miliardi di euro di valore aggiunto, pari al 9 per cento della ricchezza nazionale, secondo l’ultimo report annuale della Fondazione Moressa.

Eppure, nonostante questi numeri, in Italia non si smette di ritenere ancora oggi l’immigrazione come se si trattasse di una vera e propria emergenza da cui difendersi.

Ed è la stessa normativa ad alimentare la confusione tra rifugiati e migranti economici, spingendo i secondi verso quella porta laterale che è spesso l’unica via per il nostro mondo del lavoro: la clandestinità in attesa di una sanatoria.

Meccanismi obsoleti

La legge Bossi-Fini varata vent’anni fa ha introdotto l’abolizione dell’ingresso tramite sponsor con relativo accesso regolare solo dopo che si è conclusa la procedura d’assunzione. In questo modo, risulta molto difficile per il datore di lavoro verificare le capacità professionali e le qualità “umane” di un lavoratore.

Di fatto, le quote d’ingresso si sono trasformate in uno strumento di regolarizzazione dei migranti già presenti, facendo venir meno il carattere premiale della scelta di un percorso legale.

Lavoro povero

C’è da considerare, poi, la cattiva qualità del lavoro italiano e la forte espansione del lavoro povero. Ed è concetto diffuso che i migranti fanno i lavori che gli italiani non vogliano più fare.

Se si guarda invece meglio,

 si può notare come l’Ocse stima in Italia 6,3 infermieri ogni mille abitanti mentre nel resto dell’Ue sono 8,3. La Corte dei conti italiana parla di personale infermieristico «pesantemente sottodimensionato» e solo per ottenere i soldi del Pnrr dall’Europa noi dovremmo assumerne trentamila nei prossimi tre anni.

Si rincorrono (poco) braccianti immigrati che diano respiro al settore agricolo, ma si trascurano altri settori professionali che già oggi cominciano a essere risicati nel numero.

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