Boom di dimissioni nel 2022: cosa c’è dietro la “Great Resignation”

Il record di dimissioni dal posto di lavoro registrato lo scorso anno in Italia ha un numero ben preciso e che fa riflettere con un aumento del 13,8 per cento in più rispetto all’anno precedente.

Ma cosa c’è dietro la “Great Resignation”, come viene chiamata la grande ondata di dimissioni che sta attraversando non solo il nostro Paese, ma tutto il mondo?

La svolta del 2020

Rispetto al 2019, complice anche la pandemia, nel 2020 si è assistito alla prima ondata delle grandi dimissioni con 1,9 milioni di lavoratori che hanno lasciato il posto di lavoro contro i 950mila dell’anno precedente.

Questa tendenza ha riguardato molte aziende e settori, sia in Italia che in altri Paesi e le ragioni alla base di questo cambiamento sono molteplici: il lungo periodo di incertezza dovuto alla pandemia da Covid-19 che ha portato molti lavoratori a rivalutare le proprie priorità e a cercare un lavoro più in linea con le proprie esigenze professionali; la necessità di dedicare più spazio ai propri interessi e alla vita privata; il bisogno di trovare un impiego più stabile e meglio retribuito.

I dati

Secondo uno studio della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro relativo al 2021, il 52.9 per cento di chi ha lasciato il lavoro aveva un contratto temporaneo.

La maggior parte era impiegata in attività manifatturiere (18,7 per cento), nelle costruzioni (9 per cento), nel commercio all’ingrosso e al dettaglio (13,4 per cento), nella ristorazione (12,4 per cento) e nella logistica (7 per cento).

Si tratta quindi di precari con contratti a tempo determinato e part-time che garantiscono il livello minimo di sussistenza. Inoltre, più del 40 per cento degli interessati aveva nel 2021 meno di 35 anni, mentre quasi il 75 per cento non era in possesso di una laurea. Lavoratori giovani, quindi, e concentrati principalmente al Nord con il 56,4 per cento contro il 19,9 per cento del Centro e il 23 per cento del Sud.

Le retribuzioni

Altro motivo del boom di dimissioni è da ricercarsi nei salari: la retribuzione lorda media di un dipendente a tempo determinato è di circa 9.634 euro all’anno, quella di uno stagionale di 6.425 euro contro i 26.285 di chi ha un contratto a tempo indeterminato. Anche i contratti a tempo parziale e part-time involontario, ovvero imposto dalle aziende, contribuiscono ad alimentare l’ondata di dimissioni. Più del 16 per cento dei lavoratori italiani part-time guadagna meno di 5mila euro netti l’anno mentre quasi il 40 per cento ha un imponibile Inps che non supera i 15mila.

Tra questi lavoratori, come spesso accade, troviamo un maggior numero di donne: nel 2021 sono state 3.413.268 le lavoratrici a svolgere uno o più lavori a tempo parziale contro 1.998.347 degli uomini.

Roberta Gatto

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