Il giro del Mondo come non lo avete mai visto: intervista a un viaggiatore non vedente
“Cuore e mente aperti”. E ancora: “adattarsi il più possibile, vivendo sempre immersi nella realtà umana di ogni posto”. Sono forse questi i segreti per viaggiare intorno al mondo in solitaria da non vedente. A parlarcene è Alessandro Bordini, classe 1985, originario della provincia di Verona e divenuto ormai da diversi anni “cittadino del mondo”.
Perché Alessandro ha scelto di non fermarsi davanti a quello che potrebbe essere considerato un limite e ha deciso di intraprendere un viaggio alla scoperta del Mondo. Così come di sè stesso.
Diventato cieco in seguito a un incidente con il paracadute, dopo aver affrontato il coma e una lunga riabilitazione, Alessandro ha scelto di riprendere in mano la propria vita e di farlo da una nuova prospettiva. Abbiamo fatto una chiacchierata con lui per scoprire come. Ecco che cosa ci ha raccontato.
Molti di noi ti conoscono per la tua attività sui social e per i libri che hai pubblicato, l’ultimo dei quali, “Il giro del mondo come non lo avete mai visto”, è attualmente disponibile in formato e book su Amazon. Ma chi è davvero Alessandro e cosa puoi raccontarci di te?
Chi io sia sto ancora cercando di capirlo. Considero la vita come un meraviglioso viaggio, che può essere affrontato a vari livelli di profondità. Ho già compiuto un discreto numero di esplorazioni esterne, da qualche anno mi sto impegnando a esplorare la vita dal di dentro.
Credo che, maggiore sia la consapevolezza che abbiamo nei nostri confronti, maggiore diventi anche la sicurezza con cui possiamo relazionarci con il mondo esterno.
Possiamo dire, quindi, che la parola chiave è, in un certo senso, conosci te stesso”. Il che si traduce in conoscenza dei propri punti di forza e dei propri limiti, per superarli o semplicemente accettarli. Sappiamo che la perdita della vista è spesso percepita come una condizione limitante, tanto dalla persona non vedente quanto, purtroppo, dalla società. Nel tuo caso, in che misura la perdita della vista ha condizionato, nel bene e nel male, la percezione che avevi di te stesso e degli altri?
Non so se la perdita della vista possa essere considerata come unica responsabile. È più probabile che essa sia stata uno dei fattori scatenanti del cambiamento avvenuto in me, in seguito all’incidente. Sta di fatto che la percezione non solo di me stesso o degli altri, bensì di tutta la realtà che vivo, ha cominciato a basarsi più sull’ascolto che sul giudizio, sull’interrogarmi piuttosto che sull’affermare, sul mettere in discussione ogni cosa, a partire da me stesso, anziché vivere al riparo di granitiche certezze. Con questo non voglio affermare che la vista sia un male, tutt’altro. La considero come una facoltà straordinaria, che mi ha permesso di vivere sensazioni meravigliose. Proprio per la sua potenza, per la sua immediatezza e la sua globalità va utilizzata con molta attenzione, perché può essere veicolo di inganni e insidie.
Come e in che momento hai sentito di poter e di voler affrontare un viaggio del mondo in solitaria?
Nel momento in cui ho compreso che dentro di me vi era la possibilità di influenzare ciò che mi accade. La legge di risonanza dichiara che attiriamo persone ed eventi per un motivo, sulla base dell’energia e della vibrazione che emaniamo. Dunque, se avessi tenuto sempre bene a mente il mio obiettivo, compiere il giro del mondo, avrei attirato persone ed eventi che me lo avrebbero permesso.
Nell’arco di due anni hai visitato circa 100 Paesi, dall’Europa alle Americhe passando per l’Africa. Hai quindi toccato con mano culture estremamente diverse tra loro e molto distanti dalla nostra, hai dovuto modificare le tue abitudini igieniche e alimentari. Questo, spesso, si traduce in quello che gli antropologi definiscono “culture shock” e richiede un grande spirito di adattamento. Quando ci spostiamo in un Paese straniero, può capitare di subire questo shock in positivo, percependo immediatamente un’affinità con il posto, o negativa, sentendoci un po’ dei pesci fuor d’acqua. Ti chiedo quindi, quale dei Paesi che hai visitato ti ha fatto sentire maggiormente a casa e in quale invece ti sei sentito un po’ più forestiero?
Sono centinaia le volte in cui mi sono sentito a casa, mi è impossibile scegliere un luogo. Anche perché, sulla legge del principio espresso poco fa, preferisco pensare che non sia un paese o una persona a farmi sentire in un certo modo, ma sia io a sentirmi in quel determinato modo, positivo o negativo che sia.
Ciò mi apre alla possibilità di stare bene ovunque, e se questo non dovesse accadere è mio compito prenderne atto e agire perché le cose cambino. Ovviamente ognuno di noi ha delle affinità, riconducibili sempre a parer mio a un discorso energetico. Ad esempio, mi sono trovato molto bene in America Latina.
Infatti, ascoltando una tua recente intervista di ritorno dall’Argentina, risulta molto evidente nel tuo italiano la tipica cadenza latino americana. Devo dire che la cosa mi ha lasciata molto sorpresa, perché mi è sembrato di ascoltare un argentino che parlava italiano. Immagino quindi che tu sia particolarmente portato per le lingue straniere.
Avendo fatto il giro del Mondo, però, ti sarai probabilmente trovato di fronte anche a lingue che non hanno niente a che fare con quelle europee. Penso ad esempio alle lingue africane. Come hai superato le barriere linguistiche?
Adattandomi il più possibile, vivendo sempre immerso nella realtà umana di ogni posto, anziché cercare satelliti familiari in giro per il mondo. Sono partito che parlavo un inglese incerto e avevo lontani ricordi di francese, a fine viaggio ero in grado di comunicare comodamente in quattro lingue, italiano a parte.
Oltre al gap linguistico, per viaggiare è necessario affrontare anche una certa burocrazia. Alcuni Paesi, specie nel continente africano, sono addirittura considerati off-limits a causa della situazione politico sociale. In altri è possibile viaggiare, ma diciamo, “a proprio rischio e pericolo”. Oltre a questo, per chi non vede, le difficoltà si moltiplicano, perché non tutti i Paesi sono pronti ad accogliere persone con disabilità visiva.
Da non vedente, quali difficoltà hai incontrato nell’organizzazione degli spostamenti e in che modo le hai affrontate?
Le principali difficoltà riscontrate hanno riguardato tutte quelle volte in cui dovevo acquistare un biglietto aereo e il sito internet non era accessibile.
Altra difficoltà, che non ha nulla a che vedere con la condizione visiva, ha riguardato l’ottenimento dei visti di ingresso, per alcuni Paesi è stato impossibile.
Dovrebbe far riflettere il fatto che la difficoltà maggiore che ho affrontato nel girare il Mondo senza vedere sia creata e sostenuta dal sistema in cui viviamo.
Hai detto una cosa molto importante: la maggiore difficoltà è creata e sostenuta dal sistema in cui viviamo. Forse anche per questo, alcuni di noi (me compresa) non hanno mai viaggiato senza accompagnatore e si sentono spaventati all’idea di muoversi da soli. Io stessa mi rendo conto di aver accantonato uno dei miei sogni, fare un’esperienza di vita e studio o lavoro all’estero, perché se mi immagino da sola fuori da casa mi vedo incapace di fare qualunque cosa. Cosa ci consiglieresti?
Più che consigli, preferisco suggerire alcune domande che ci si può porre, nel momento in cui si deve affrontare una situazione sfidante: lo voglio veramente? Questa cosa mi avvicinerà a raggiungere lo scopo della mia vita? In che modo posso ottenere ciò?
Nell’esempio che poni, assolutamente legittimo e in cui mi capita spesso di ritrovarmi, può essere utile cambiare la prospettiva: immagina che al posto di vederti incapace tu ti veda capace. Cosa è successo? Cosa hai fatto? Questo è uno dei temi che affronto come mental coach con i miei assistiti, che non può essere sviscerato in modo esaustivo in poche righe.
In generale, in una persona permarrà in una determinata situazione fintanto che il disagio che essa provoca, o il desiderio di raggiungerne una nuova, migliore, non saranno sufficienti da spingerla a cambiare qualcosa.
Anche per viaggiare, quindi, è prima di tutto necessario avvertire un cambiamento. D’altronde, il viaggio stesso costituisce un cambiamento e sicuramente è successo anche a te. In che modo questi due anni da viaggiatore ti hanno cambiato?
Ogni volta che ci si confronta con luoghi, persone, culture, situazioni nuove, e lo si fa con cuore e mente aperti, avviene uno scambio che arricchisce. Viaggiare non serve, se prima non ci si predispone all’apertura e ad accogliere il diverso. Perché viaggiare è prima di tutto uno stato mentale. Da ciò si evince che è possibile beneficiare dell’arricchimento di un viaggio anche senza muoversi fisicamente. Basti pensare al protagonista de “ La leggenda del pianista sull’oceano “
Una cultura che ti ha colpito particolarmente (sia in negativo che in positivo) e perché?
Una cultura che non colpisce è una cultura a cui non ci si è aperti. Ci sono ovviamente realtà con cui sono entrato in sintonia più rapidamente, mentre con altre ho avuto molta più difficoltà. Evito comunque di fare confronti: sarebbe come dichiarare la preferenza per un fratello o per una sorella, quando invece sento di amarli tutti quanti.
Passiamo a qualche domanda sulla tua vita personale. Cosa ti manca di più e cosa non ti manca affatto della tua vita prima dell’incidente?
Evito il più possibile di considerare qualcosa che non c’è più come una mancanza perché ciò sarebbe un ottimo modo per vivere male. Se una cosa ha smesso di far parte della mia vita, può significare che non ne ho più bisogno. Oppure può significare che devo trovare un modo alternativo per affrontare una certa situazione. Analogamente, se qualcosa di spiacevole non fa più parte della mia vita me ne assumo il merito. Consapevolmente o meno, ne sono io il responsabile.
Mi hanno già fatto notare come questo modo di affrontare la vita può sembrare, agli occhi dei più, alquanto pretenzioso, se non addirittura insostenibile. Eppure ho scoperto che è proprio cercando di pensare e vivere così che sto costruendo una realtà sempre più piacevole e soddisfacente. Perché la realtà che viviamo, in fondo, è ciò che ci raccontiamo e ciò a cui decidiamo di credere.
Ti sei mai scontrato con pregiudizi e abilismo? Se sì, come ti sei posto nei confronti di questi atteggiamenti?
Considero pregiudizi e abilismo come astrazioni. Per molti anni ci ho fatto la guerra, fino a quando non ho ritenuto più sensato dedicare tempo ed energie a creare ciò in cui credo anziché combattere ciò che ritengo sbagliato. Da quando ho cominciato ad ascoltarmi di più, oltre che a leggere parecchi testi su questo argomento, mi sono accorto che combattendo una determinata cosa rischiavo di assorbirne la negatività. Come chi si proclama contro la guerra e ha il cuore pieno d’odio. Ogni volta che mi trovo di fronte a ciò che ritengo ingiusto, mi domando con cosa dentro di me risuona questa ingiustizia, e cerco quindi di migliorare me stesso. Non posso io sconfiggere la guerra nel mondo, posso invece ridurre giorno dopo giorno i conflitti al mio interno.
Sei anche creatore del progetto light the Planet. Quali sono gli obiettivi di questa iniziativa?
Light the Planet è il blog che ho tenuto durante il mio viaggio, con cui ho voluto portare avanti un messaggio di fiducia nei riguardi del genere umano. Ora questo impegno si è evoluto in un libro: “ Il giro del mondo come non lo avete mai visto “, in cui racconto la storia del mio viaggio.
L’obiettivo è sempre quello di offrire alle persone una concezione olistica dell’umanità, del Mondo intero, fino a includere l’intero universo.
Progetti per il futuro?
Sono tre i progetti che sto portando avanti attualmente. Uno riguarda la diffusione di puzzle accessibili alle persone con disabilità visiva. In questi ultimi anni ho sviluppato e brevettato un sistema che sfrutta una modalità alternativa di composizione, la quale appiana enormemente la disparità che esiste attualmente con i puzzle tradizionali.
Questo sistema è inclusivo, poiché può essere integrato in un puzzle senza sostanziali modifiche che peggiorerebbero il suo utilizzo tradizionale. Come i lettori di schermo negli smartphone: sono presenti ma quasi nessuno ne è consapevole. Un altro progetto si chiama Pilates con Vincia, che sto promuovendo assieme alla mia ormai amica Cristina Vinciarelli. Lei è una bravissima istruttrice di pilates, che ho formato affinché fosse in grado di condurre una lezione di pilates con il solo uso della voce.
Da ottobre dello scorso anno sempre più persone partecipano alle sue lezioni su zoom e sono tutti molto soddisfatti.
L’ultimo progetto riguarda la creazione di un luogo, a Kampala, capitale dell’Uganda, ove tantissimi bimbi possano realizzarsi e crescere sani e liberi. Assieme a David, che ho conosciuto durante il mio viaggio, è stata fondata un’associazione, “ Blooming kids “.
Al momento siamo solo in grado di pagare gli studi a tredici ragazzini, ma abbiamo appena iniziato. La motivazione per scrivere il libro sul mio viaggio è nata proprio per raggiungere questo obiettivo e infatti tutto il ricavato sarà destinato all’associazione. Si tratta di una ragione in più per acquistarlo, per regalarlo e per parlarne il più possibile.
Al momento è disponibile in formato Kindle su Amazon, tra una settimana circa sarà pronto anche il formato cartaceo e presto realizzerò anche l’audiolibro.
Ringraziamo Alessandro e vi invitiamo a cliccare qui per accedere al suo sito ed entrare in contatto con lui.
Roberta Gatto