Le competenze più richieste dalle aziende? Sono cinque, dal pensiero creativo all’empatia

Il mercato del lavoro è in continuo cambiamento e quindi, lavorare sulle proprie competenze diventa strategico sia per chi cerca un impiego (neolaureati e neodiplomati), sia per chi invece è intenzionato a cambiarlo e ci lavora già da tempo. Si tratta di una situazione in cui si devono prendere decisioni importanti e allora, per capire su quali capacità sia utile scommettere è bene conoscere i trend dell’occupazione a livello mondiale e capire cosa cercano le imprese. In questo modo si potrà aver chiaro su quali skill, abilità e competenze, puntare le proprie possibilità occupazionali.

Riguardo le competenze verticali o di base come le cosiddette hard skills, i trend sono evidenti. Secondo l’ultima analisi del World Economic forum, “The Future of Jobs”, i ruoli oggi in più rapida crescita in termini di richieste sono quelli legati a tecnologia, digitalizzazione e sostenibilità. Queste hanno a che fare con l’Area Stem (matematica, fisica, informatica.

Qui si sta parlando di quelle capacità per nulla o poco “automatizzabili”, che non potranno quindi mai essere sostituite da intelligenze artificiali come ChatGpt. Proprio i ricercatori del Wef dicono come, «la nostra analisi suggerisce che 69 milioni di posti di lavoro saranno creati e 83 milioni saranno distrutti. Questo porterà quindi a una contrazione pari a 14 milioni di posti di lavoro nei prossimi cinque anni».

A sopravvivere saranno quei lavori in cui hanno un ruolo centrale quelle abilità che non entrano in concorrenza con le Ai e non si basano sulla ripetizione di un’azione in modo meccanico. Si pensi all’inserimento dati o alla precisione di un buon amministrativo.

Competenze trasversali: il pensiero analitico

Ma quali sono queste competenze trasversali a più professioni che sono utili per evitare di finire con lo svolgere un mestiere già vecchio domani o a reinventare il proprio? Un asso nella manica, ad esempio, sarebbe quello di coltivare il pensiero analitico. Indipendentemente dal percorso di studi di un candidato, questa skill, secondo le 803 aziende intervistate nel report sul lavoro del World Economic Forum nel 2023è al vertice delle competenze più importanti. Il pensatore analitico, che si tratti di un esperto di cyber security o di un e-commerce manager, viene apprezzato perché spacchetta le idee, le confronta, esplorandone le cause e gli effetti, per poi trovare una soluzione complessa. Una visione di sistema che ancora manca alle Ai.

Secondo una recente indagine dell’Università della Pennsylvania, almeno metà delle attività svolte dal 20 per cento della forza lavoro potrebbe essere portata a termine molto più velocemente grazie alla tecnologia. Avere teste in azienda che sanno ragionare in modo sistemico (perché semplificando sanno unire i punti per trovare una risposta) è un vantaggio notevole posto che un’impresa si trova di fronte a un esercizio di problem solving continuo. Dagli ordini da gestire ai turni da organizzare fino alla relazione con clienti e fornitori.

Il pensiero creativo

Tra le competenze trasversali oggi richiestissime dalle aziende c’è anche il pensiero creativo. Si tratta di produrre idee pertinenti e nuove, in grado di superare le “sabbie mobili” delle conoscenze pregresse grazie a immaginazione e intuito. Nel report del World Economic Forum, i ricercatori ne parlano come di una competenza cruciale per le realtà che vogliono fare innovazione: dalle startup alle grandi multinazionali.

Secondo un sondaggio della società di consulenza Gartner realizzato su oltre 3.500 dipendenti, solo il 46 per cento degli intervistati concorda sul fatto che la propria organizzazione incoraggi il pensiero creativo. Un peccato, dato che la soft skill è proprio alla base di ogni processo innovativo. L’organizzazione lavorativa non premia in modo adeguato la generazione di idee perché difficilmente misurabili. Il criterio della quantità non può infatti essere applicato in questo casi. Incide poi il carico di lavoro. Se troppo elevato inibisce il lavoratore dal proporre e prendere iniziativa. Un tema particolarmente rilevante al tempo del lavoro ibrido, da remoto e in ufficio, con gli scambi tra colleghi ridotti. Come evitare l’impasse? In azienda aiuta affiancare persone che non hanno mai lavorato insieme prima, creare team misti, mentre a livello individuale è utile, posta una determinata prassi, immaginare sempre alternative o procedimenti più agili.

L’alfabetizzazione tecnologica

Per le aziende intervistate, l’altra grande competenza chiave è l’alfabetizzazione tecnologica. Da definizione dell’enciclopedia Treccani, si tratta della «abilità di individuare, comprendere, utilizzare e creare informazioni utilizzando tecnologie informatiche». L’aspetto più complesso di questa competenza è che implica l’apprendimento continuo, in inglese life long learning, posto che al cambiare delle tecnologie, le competenze devono aggiornarsi e vanno quindi tenute in allenamento. Come ricordato dall’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, una posizione aperta su quattro, riguarda proprio professionalità digitali mentre l’anno scorso si parlava di una su cinque. Secondo il Wef al 2027, la maggior parte dei ruoli in crescita, in termini di richiesta, saranno legati all’intelligenza artificiale (AI) e al Machine Learning. Seguono gli specialisti della sostenibilità, gli analisti di business intelligence ed esperti di Cybersecurity. Il boom di quest’ultima professione in particolare è legato in buona misura al post pandemia con milioni di attività, precedentemente svolte in analogico, migrate online. Il che ha ampliato la domanda di protezione di dati vista la crescita degli attacchi informatici a danno delle aziende.

Capacità relazionali, empatia e ascolto attivo

Per le aziende intervistate dal Wef, contano poi alcuni set di capacità che potremmo definire relazionali. Si va dall’empatia all’ascolto attivo, entrambe fondamentali per far funzionare un’organizzazione fatta di persone e di piccoli team. La capacità di “mettersi nei panni di un’altra persona” aiuta infatti a oliare gli ingranaggi della “macchina-azienda”. Consente, ad esempio, di comprendere immediatamente i ragionamenti di colleghi e superiori. L’empatia è quindi un’abilità sociale strategica per un’impresa e si pone alla base di una comunicazione efficace. L’ascolto attivo è invece la pratica di prepararsi ad ascoltare, osservando quali messaggi verbali e non verbali vengono inviati dalla persona che si ha di fronte. Il che aiuta a formulare una risposta ponderata, dando in parallelo importanza al messaggio e alla persona. Aiuta, in breve, a fare squadra.

Il report di Microsoft sul lavoro in ufficio sottolinea il peso della buona comunicazione in azienda. Secondo la big tech, che sviluppa piattaforme disegnate per la comunicazione aziendale come Teams, un quarto degli utenti più attivi sulle sue applicazioni e piattaforme trascorre almeno 7,5 ore alla settimana partecipando a riunioni. Il tema, semmai, è come comunicare meglio ottimizzando i tempi del confronto. Dall’empatia all’ascolto attivo parliamo di capacità che si possono allenare e che in nessun modo un’intelligenza artificiale sarà in grado, suo malgrado, di replicare.

Bachisio Zolo

Lascia un commento