Michela Murgia se n’è andata: cosa ci lascia

Michela Murgia

Ha scelto (?) il giorno della ricorrenza di san Lorenzo, quello con la notte delle “stelle cadenti”. E lei è stata infatti una stella per come ha interpretato la vita. Sui diversi piani di un percorso, qui, sulla terra, dove le persone vivono, producono, si confrontano e lasciano, comunque, un ricordo. Eppure, se volessimo guardare al percorso della sua vita, ai gesti che ha compiuto, ai lavori che ci ha lasciato, della vita di Michela rimane un enorme patrimonio di amore: per il lavoro, per il rapporto tra genitori e figli e per una filosofia di vita che ha fatto a meno dell’appoggio della religione e che quindi poteva avere forse meno aiuto, meno conforto, spessore.

Se si ripensa al suo primo lavoro editoriale, “Il mondo deve sapere”, che cosa è se non un inno d’amore per il lavoro dell’uomo? Un lavoro che è cambiato rispetto agli stereotipi precedenti, ma che mette comunque lo stesso uomo (a lei sarebbe piaciuta la distinzione di genere o forse ancora la condivisione, ma lasciamo perdere) davanti al suo percorso di affrancamento sociale che avviene anche attraverso il lavoro. Pur denunciandone la mancanza di morale e di valori, era quello un richiamo a non tralasciare un’importante attività della nostra vita. Appunto, il lavoro. E che dire del suo (contestatissimo) romanzo Accabadora dove Michela Murgia esaltava l’amore tra una madre e una figlia (adottiva, a fill’e anima), ma comunque basata sull’amore generazionale. L’esaltazione dell’amore tra un cucciolo e di chi si prende cura del suo sviluppo, della sua educazione della sua formazione anche a costo di andare oltre le formule sociali più comuni, senza però mai perdere di vista l’amore, la pietà, il sapersi dare pur ponendosi in una condizione di non essere capiti e, peggio, di essere avversati e contestati.

Ecco, Michela Murgia ha saputo seminare anche questo nelle sue opere, nei suoi lavori. Insieme all’accettazione della sua malattia percorsa con grande dignità, piegandosi appena alle esigenze di comunicazione ai media effettuata nel suo stile che tutti, in effetti hanno poi apprezzato. Senza enfasi, senza volersi e cercare di “farsi piangere addosso”, di avere compassione (giammai!). Anche per questo, grazie Michela!

Gian Luigi Pala

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