Curarsi nel Metaverso? Con l’avatar si può

Non è facile definire il metaverso. Di base è un mondo “altro” generato dal computer e dove noi, impiegando appositi dispositivi, possiamo andare con il nostro corpo “virtuale”, appunto un avatar, con il quale effettuare operazioni di vario genere: da quelle commerciali alle interazioni sociali.

Le applicazioni in medicina

In medicina, le applicazioni del metaverso cominciano a muovere i primi passi. Una recente ricerca di Boston Consulting prevede che questa tecnologia potrà essere sempre più utilizzata in ambito sanitario. In quali campi? Chirurgia, diagnostica per immagini, riabilitazione neurologica e neuromuscolare, fisioterapia; terapia del dolore, trattamento di ansie, fobie e stress post traumatico, formazione medica.

Negli Stati Uniti, al primo settembre 2023, la Food and drug administration aveva esaminato e autorizzato la commercializzazione di una cinquantina di dispositivi per il metaverso in diversi settori della medicina E si stima come le applicazioni aumenteranno ancora.

Come accedere nel metaverso

Come accedere nel metaverso? Lo si può fare attraverso un dispositivo mobile come uno smartphone, oppure con l’uso di un Pc dotato di webcam o altri sensori, con dispositivi di visione, di ascolto e di manipolazione che aggiungono informazioni multimediali alla realtà normalmente percepita. Di certo, però, finora il metaverso non è un mondo tecnologico omogeneo. E risulta anche un’eterogeneità di tecnologie virtuali. La classica realtà virtuale (Vr) dove si è completamente immersi nel mondo creato artificialmente, si affianca alla cosiddetta realtà aumentata (Ar) dove gli oggetti digitali sono sovrapposti agli spazi fisici e alla realtà mista (Xr, extended reality o mixed reality). Questa diventa un po’ una versione intermedia tra realtà virtuale e realtà aumentata. Quindi, nella realtà mista si ha una perfetta sovrapposizione di virtuale e reale e si può così toccare fisicamente un tavolo che però appare sotto sembianze virtuali diverse. Una sedia appare in modo differente perché appunto la si osserva attraverso un visore che permette di sovrapporre un oggetto virtuale a uno reale. Insomma, la tecnica deve essere ancora affinata.

Che preparazione occorre

Certo è, che il paziente non si cura da solo con il metaverso, ma di esso ne beneficia il curante e il medico se entrambi hanno fatto training (il primo) con una metodica, o preso confidenza (il secondo) con una procedura o un ambiente. Insomma, dovrà essere fatta una sorta di allenamento che porterà il paziente a essere sia meno stressato nella possibile esperienza traumatica, sia più aderente alle prescrizioni e/o a non commettere errori.

Telemedicina e visite virtuali in ospedale e a casa

C’era stato un primo assaggio delle potenzialità delle “cure virtuali” durante la pandemia Covid. Oggi la Telemedicina nelle sue diverse declinazioni (consulto a distanza, trasmissione di parametri vitali rientra a pieno titolo fra le applicazioni del metaverso in campo sanitario. A Milano, lo Humane Technology Lab dell’Università Cattolica ha usato la Vr nel progetto “Covid Feel Good”, un protocollo di auto-aiuto per superare il disagio psicologico generato dal Coronavirus.

Nel recente documento redatto dallo European Citizens’ Panel on Virtual Worlds della Commissione europea si afferma che «i mondi virtuali aiuteranno con diagnosi più rapide e accurate e trattamenti terapeutici». L’esempio è rappresentato dal «Maria Middelares», una struttura sanitaria all’avanguardia ubicata a Gand (Belgio). Il progetto di virtual hospital avviato, permette alle donne in gravidanza di effettuare un «sopralluogo» virtuale al reparto maternità così da pianificare le varie fasi della loro successiva visita ospedaliera e ridurre così la paura di partorire.

Un avatar per aiutare i bambini

Sicuramente le tecnologie di realtà virtuale e di metaverso possono avere una capacità attrattiva maggiore per i bambini rispetto ai trattamenti standard. L’aderenza alle terapie e la motivazione del bambino verrebbero certamente aumentate. Inoltre, qualora si dimostrasse il possibile coinvolgimento del sistema dei neuroni specchio (quando le cellule nervose del cervello si “attivano” vedendo qualcun altro compiere un gesto) per la riattivazione di zone cerebrali silenti, questo approccio riabilitativo avrebbe risvolti unici.

Proprio al Medea è appena partito il reclutamento per un trial clinico sull’utilizzo del metaverso negli exergaming (exercise and gaming), ossia esercizi fisici mirati al trattamento riabilitativo da svolgere in un ambiente da videogioco.

Lo studio del Politecnico di Milano

Lo studio del Politecnico di Milano, coinvolge 10 bambini dai 6 ai 14 anni affetti da paralisi cerebrale infantile in forma spastica, monolaterale e bilaterale. Gli viene creato un avatar, cioè una sorta di “gemello virtuale” con il quale svolgere una serie di esercizi. Il bambino vede sé stesso compiere quella funzione nella maniera giusta e, di conseguenza, dovrebbe imparare ad afferrare più correttamente e a camminare con uno schema più fisiologico.

Plasticità del cervello

Alla base degli exergaming, c’è il meccanismo della plasticità neuronale, cioè la possibilità che ha il sistema nervoso centrale di riadattarsi e di creare dei circuiti più fisiologici qualora questi siano stati danneggiati in seguito a una lesione cerebrale. Presentando al bambino un’attività eseguita dal suo avatar nel modo più vicino possibile al fisiologico, si tenta di ricreare dei circuiti neuronali in grado di rinforzare questo movimento corretto.

La “terapia con il metaverso” deve ancora superare una serie di ostacoli, a partire dall’inquadramento normativo: in Italia non esiste ancora, a differenza di altri paesi europei, come Germania, Francia, e Belgio. Così le “cure virtuali” non possono essere rimborsate dal Servizio sanitario.

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