Inclusività in Italia: quanto viene apprezzata?

Il nostro Paese considera l’inclusione un valore irrinunciabile? A questa domanda prova a rispondere il team di Ricerca & Sviluppo Erikson, con il report https://issuu.com/edizionierickson/docs/report_3?fr=xKAE9_zU1NQALORE IRRINUNCIABILE? | Report by Edizioni Centro Studi Erickson – Issuu

Il team mette a disposizione un sondaggio online composto da 19 affermazioni inerenti l’inclusione in relazione a temi di applicazione concreta. Gli intervistati dovevano esprimere la loro opinione con un giudizio da 1 a 4 (dove 1 indica “per niente d’accordo” e 4 “completamente d’accordo”).

Alle domande hanno partecipato 3137 persone, di cui il 91 per cento donne.

Per analizzare meglio le risposte e il punto di vista degli intervistati si è tenuto in considerazione il numero di anni di lavoro con persone con disabilità. Una buona percentuale rivela un’esperienza pluriennale (un intervallo di tempo che va da 5 a oltre 20 anni) rispetto al 4 per cento che ha affermato di non avere alcuna esperienza.

La maggioranza del campione, inoltre, è costituito da insegnanti di sostegno e insegnanti curriculari con delle percentuali pari rispettivamente al 62.6 e il 22.9 per cento.

L’illustrazione dei risultati

Per illustrare al meglio le risposte e cogliere spunti e indicazioni, nel report le domande sono state raggruppate in sei dimensioni principali relative al valore dell’inclusione, la realizzazione e la fattibilità, le ricadute socio-emotive, le collaborazioni, la sessualità e la disabilità e la vita adulta.

Vediamo queste dimensioni nello specifico.

Dimensione del valore

Attraverso le domande raggruppate in questa dimensione, si è rilevata la percezione del valore pedagogico, civile, politico e sociale dell’inclusione.

Il 69 per cento degli intervistati si è detto in disaccordo con l’affermazione: «il grande valore di giustizia sociale dell’inclusione è utopistico e irrealizzabile». Una percentuale non trascurabile (32 per cento, ovvero 1 su 3), tuttavia, si è detta fortemente o completamente d’accordo.

Elevata anche la percentuale di individui che sostiene come l’inclusione scolastica abbia permesso di realizzare una maggiore capacità di accogliere le differenze (60 per cento d’accordo contro il 40 per cento di scettici).

Il 42 per cento degli intervistati segnala, inoltre, un indebolimento dell’attenzione verso l’inclusione scolastica e sociale; rispetto al 57 per cento che non ha tale percezione.

Infine, il 96 per cento del campione si dice fortemente d’accordo con la visione dell’inclusione in classe come valore per ogni alunno indipendente dal suo grado di disabilità.

Dimensione della realizzazione e della fattibilità

Le domande raccolte in quest’area indagano la concreta realizzabilità dell’inclusione. Nello specifico, due domande vengono orientate verso le disabilità in situazione di gravità («nel lavoro quotidiano con un alunno con disabilità grave, mi è capitato di pensare che una vera inclusione non sia fattibile»; e «la situazione specifica di un alunno con grave disabilità mi porta a credere che in alcuni casi l’inclusione non sia la scelta migliore»).

Si è approfondita l’opinione rispetto al “modello formativo a tre vie” (ovvero quello per cui l’inclusione piena sarebbe rivolta alle disabilità più lievi mentre per quelle più complesse ci sarebbero classi speciali nella scuola normale e le scuole speciali) e la percezione dell’utilità di lavoro educativo e didattico in spazi dedicati, quali aule di sostegno. Infine, approfondendo un tema di forte attualità, è stata posta una domanda sulle “cattedre miste”.

La cattedra mista prevede un orario di servizio diviso tra attività di sostegno e l’insegnamento ordinario alla classe. Tra il campione si è registrato un forte consenso, il 79 per cento, contro l’8 per cento nettamente contrario.

Per quanto concerne la percezione del lavoro in spazi dedicati, prevale la contrarietà al lavoro in aule di sostegno nei casi di maggiore gravità (77 per cento rispetto al 23 per cento che ritiene utile l’aula di sostegno per la maggior parte del tempo).

Nel caso di disabilità gravi, 1 persona su 3 si dice scettica ritenendo quindi che l’inclusione non sia la scelta migliore. Tuttavia il 73 per cento la ritiene una buona scelta.

Si registra una netta contrarietà al “modello formativo a tre vie” o, più in generale, a diversi contesti scolastici. Solo il 17 per cento, infatti si è detto a favore mentre il restante 83 per cento (8 persone su 10) è contrario.

Infine, nella quotidianità del lavoro, il 53 per cento del campione ritiene fattibile una vera inclusione rispetto al 47 per cento che la ritiene non fattibile.

Dimensione delle ricadute socio-emotive

Questa dimensione approfondisce le ricadute socio-emotive dell’inclusione. Si è partiti dai benefici dell’inclusione per i compagni di classe e i rischi che l’inclusione potrebbe avere rispetto all’autostima degli alunni con disabilità che si confrontano con i coetanei. Infine si è indagata l’opinione rispetto alla funzione di stigmatizzatrice delle etichette biomediche e normative.

Il 95 per cento del campione è convinto che l’inclusione permette ai pari di crescere sia nelle competenze cognitive e sociali.

Tuttavia il 19 per cento ritiene come il confronto con i coetanei possa danneggiare l’autostima o generare un disagio tra gli alunni con disabilità (rispetto l’81 per cento in disaccordo).

Per quanto concerne, infine, il rischio di stigmatizzazione a causa delle etichette di natura biomedica o normativa in ambito scolastico, il campione risulta diviso a metà: il 52 per cento le ritiene controproducenti mentre il 48 per cento non ne vede il pericolo.

Dimensione delle collaborazioni

Le domande in questa dimensione indagano la percezione di cambiamenti in peggio nel rapporto di collaborazione tra scuola e famiglia e tra scuola e sistema dei servizi sanitari e sociali.

Più di 7 persone su 10 (pari al 76 per cento) hanno percepito un peggioramento della collaborazione tra scuola e servizi sociali, rispetto al 4 per cento che non percepisce cambiamenti.

Discorso simile per i dati relativi la collaborazione tra famiglia e scuola: il 58 per cento del campione è convinto di un peggioramento, mentre il 12 per cento non rileva alcun peggioramento.

Dimensione della sessualità e disabilità

Questa sezione si apre con una domanda sulla percezione del diritto alla sessualità, nello specifico «Vivere attivamente la propria sessualità è un diritto delle persone con disabilità». Le domande seguenti, indagano sull’operatività della figura dell’assistente sessuale, una che delinea una figura con esclusiva operatività psicopedagogica e formativa e una che ipotizza anche il coinvolgimento sessuale diretto dell’operatore con la persona con disabilità.

Se non esistono dubbi sul diritto alla sessualità per la persona con disabilità (95 per cento) e il campione si esprime favorevolmente (con una percentuale pari al 77 per cento) nei confronti di una figura professionale che svolga esclusivamente attività psicoeducativa con le persone con disabilità (contro il 23 per cento che non la ritiene opportuna), il campione si spacca sull’opportunità di una figura professionale che svolga nell’attività psicoeducativa anche attività sessuali dirette.

Il 52 per cento non lo ritiene opportuno, mentre una minoranza (se pur quasi 5 su 10) lo ritiene opportuno.

Emanuele Boi

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