Gli insegnanti di sostegno come in una giostra: cambiano per il 60 per cento degli alunni

«Intendo avviare una riforma del sostegno, serve una legge altrimenti sono solo chiacchiere». Così parlò il ministro dell’Istruzione e Merito Giuseppe Valditara in carica dal 22 ottobre 2022. È però trascorso più di un anno e della riforma non c’è traccia. I docenti di sostegno, compresi quelli in deroga, sono saliti (ultimi dati 2022/23) a 220.204. Lo strabiliante aumento di questi docenti, che nel gennaio 2017 erano 137.501, non avrebbe sanato il problema più grave: la girandola di insegnanti imposta ai bambini e ai ragazzi più fragili con un continuo avvicendamento. Quasi come in una giostra, appunto. E pazienza il conflitto di interessi tra i legittimi diritti di chi insegna e i legittimi diritti di chi è disabile e ha quindi la necessità d’una stabilità nei rapporti. Secondo dati dell’Anfass, il 40 per cento dei casi di alunni disabili sono affidati a docenti che non sono assolutamente all’altezza di farsi carico di alunni affetti da problemi complessi.

In questa situazione, il ministero è stato costretto a regolamentare un nuovo tipo di insegnante pronto per l’uso attraverso il meccanismo della Mad, la messa a disposizione: si tratta di studenti universitari o professionisti senza alcuna specializzazione. In ultimissima istanza, quando i presidi non hanno trovato proprio nessuno, possono essere temporaneamente assunti come tappabuchi. Le scuole sono così costrette a ricorrere alla Mad soprattutto per gli insegnanti di sostegno, perché quelli titolati sono pochissimi.

Come si acquisisce la specializzazione

La specializzazione per insegnare agli alunni più fragili consiste in un corso di formazione superselettivo (il Tfa sostegno), ma i posti banditi ogni anno sono molti meno di quelli di cui ci sarebbe bisogno e sono concentrati nelle scuole del Sud, mentre le cattedre scoperte sono per lo più al Nord. Risultato? Che, in mancanza di docenti titolati, questi bambini e adolescenti che già partono in salita, si ritrovano affidati a supplenti il più delle volte privi delle competenze indispensabili per essere davvero d’aiuto. E questo grazie a deroghe che si perpetuano di anno in anno.

Qualche numero

A gennaio 2017, Tuttoscuola e le associazioni dei disabili denunciavano come il 43 per cento degli alunni colpiti da handicap aveva subito sulla sua pelle il continuo cambiamento di docenti. Gli ultimi dati Istat rielaborati dalla rivista, dicono che «la quota di alunni con disabilità che ha cambiato insegnante per il sostegno rispetto all’anno precedente è pari al 59,6 per cento. Sale al 62,1 per cento nelle secondarie di primo grado e raggiunge il 75 per cento nelle scuole dell’infanzia».

Numeri che stridono sulla qualità della scuola che fu tra le prime, nel lontano 1977, ad abolire le classi «differenziali» scommettendo (a parole) sull’integrazione.

Quando si parlava di 233mila alunni disabili che in teoria possono contare su 96.480 docenti di sostegno stabili e 41.021 in deroga, ecco che così si evidenzia il dramma in cui poggia la scuola. Tanto più che oggi i bambini, i ragazzini e i ragazzi più fragili i cui genitori chiedono allo Stato un aiuto perché possano essere accolti con cura e attenzione a scuola, nella società son saliti nel 2023/24 a 311.301. Nonostante precipitasse il numero totale degli iscritti visti la denatalità imperante. Sette anni fa, i dati dicono di come nelle scuole statali  (infanzia, elementari, medie e superiori) ci fossero 7.816.408 studenti. Quest’anno 622 mila in meno: 7.194.400.

E se allora c’era un ragazzino fragile ogni 33,5 alunni, oggi ce n’è uno ogni 23,1.

Si aspetta, dunque la riforma. Ma i temi di scuola, disabilità e sostegno non sembrano siano all’ordine del giorno dell’attuale Governo.

Bachisio Zolo

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