L’amore non è sacrificio: riflessioni sulla “pornografia della disabilità”

Iacopo Melio

No, non si tratta di un argomento scabroso nel senso stretto del termine, niente filmini a luci rosse con protagonisti attori e attrici in carrozzina o con qualsivoglia disabilità fisica, sensoriale o psichica. Esistono anche quelli, ovviamente, ma non ne parlerò in questo articolo.

La riflessione che voglio fare riguarda invece foto e riprese di persone con disabilità fatte da terzi.

La mamma coraggio

Leggendo l’articolo di Iacopo Melio (leggere il suo profilo social Facebook), mi è tornato in mente un episodio accaduto più di dieci anni fa, quando ero ancora ipovedente e facevo parte di un gruppo Facebook con pazienti e genitori di pazienti con glaucoma congenito.

L’episodio in questione mi ha vista litigare con una mamma a causa di una foto e mi ha portata ad abbandonare il gruppo, piuttosto delusa e pure un filino disgustata, a essere onesti.

Cosa è successo

Allora non lo sapevo, ma quello contro cui mi stavo scagliando era proprio un episodio di pornografia della disabilità, o nel caso specifico della sofferenza, o forse di entrambe.

Venivo da una serie di interventi per glaucoma piuttosto pesantucci e ricordavo bene la sensazione del post-operatorio (non una passeggiata di salute); figuriamoci se qualcuno mi avesse fotografata e “sbattuta in prima pagina”.

Ed ecco che mi imbatto in un post in questo gruppo di cui facevo parte, “Glaucoma congenito Italia”, nato principalmente per supportarsi a vicenda e fare rete, scambiare info e raccontare le proprie esperienze.

L’autrice era la mamma di un bimbo nato con glaucoma e sottoposto a impianto di valvola.

Ora, la signora non ha trovato niente di meglio da fare (appena il figlio è uscito dalla sala operatoria) che scattargli una bella foto e schiaffarcela sul gruppo.

Per ottenere cosa? Non si sa. Di certo, nessuno di noi aveva bisogno di vedere quella foto per sapere come si esce da un intervento di quel tipo. Non ve lo descrivo proprio perché non voglio alimentare questo tipo di “pornografia”.

La privacy, questa sconosciuta

Punto primo: la sofferenza è un qualcosa di estremamente intimo, è il momento in cui siamo più fragili, è come essere nudi davanti al mondo. Non andrebbe sbandierata ai quattro venti, a meno che non sia il soggetto stesso della sofferenza a volerlo, e anche in quel caso ci sarebbe prima da interrogarsi se sia giusto imporre il proprio dolore agli altri. Cioè, io potrei anche avere un meraviglioso neo a forma di stella proprio in un punto in cui non batte il sole: questo mi autorizza a girare nuda per la città indicandolo a chiunque mi passi vicino? Credo proprio di no.

Punto secondo: tu, madre, che hai aspettato un’ora mentre tuo figlio veniva sottoposto a un intervento delicatissimo, mentre era sedato, attaccato al respiratore e alla flebo, qual è la prima cosa che fai appena te lo restituiscono? Perché certo, io non ho figli quindi che ne so, ma penso che lasciare il proprio bambino in mano ai chirurghi sia un po’ come sentirselo strappare via). A ogni modo, te lo restituiscono e la prima cosa a cui pensi è il post da mettere nel gruppo?

Ma io il cellulare manco mi ricorderei che lo hanno inventato, figuriamoci se penso a fare una foto, condividerla e scriverci su una cosa tipo: “Appena uscito dalla sala”, manco fosse una pagnotta appena sfornata. Che schifo.

Punto terzo: quello è tuo figlio, non la tua macchina, e anche se è troppo piccolo per dirti cosa ne pensa del tuo modo di fare la genitrice, questo non ti autorizza a fargli una foto e pubblicarla dove pare e piace a te. Ora il bimbo ha circa dodici anni. Sarei proprio curiosa di sapere cosa ne pensa il ragazzo del fatto che sua madre, mentre lui era ancora mezzo sedato, gli ha fatto una foto a tradimento e l’ha sbattuta in faccia a un gruppo di perfetti sconosciuti.

Come è finita

La mamma coraggio ha ovviamente preso malissimo le mie obiezioni, perché lei poverina aveva bisogno di supporto, comprensione e  «qualche applauso per un genitore che, se ci pensiamo bene, sta semplicemente svolgendo il proprio ruolo di caregiver e non può essere in alcun modo osannato per questo”, come fa giustamente notare Jacopo Melio.

La mamma del gruppo non è di certo meglio della fidanzata che su Tiktok pubblica video in cui chiede al fidanzato paralizzato: «hai paura che ti lasci? Chiudi gli occhi se hai paura». E non appena lui lo fa, lei lo rassicura che no, non lo lascerà mai.

Che eroina, che spirito di sacrificio. Fossero tutte così le fidanzate. Che bel messaggio d’amore. Ma per carità.

Come scrive Melio, è «il trionfo dell’egocentrismo», il lato oscuro dei social e dell’animo umano. Cara mamma, cara fidanzata, l’amore non è questo. Non è sacrificarsi o chiedere all’altro di farlo. L’amore è qualcosa che ci rende più ricchi, un donare che ci viene restituito raddoppiato, non ha secondi fini e non fa distinzioni tra persone con e senza disabilità.

Il resto è solo pornografia.

Roberta Gatto

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