I dati sui lavoratori disabili in Italia? Non certi

Se si guardano i dati forniti dall’Istat, le persone con disabilità in Italia sono il 5,25 della popolazione. Per il Censis, no: risultano essere il 7,9 per cento. Quindi, il problema è la stessa “misurazione” del problema. Manca una banca dati unica e certa delle persone con disabilità nell’età lavorativa. Pure nel Decreto 151/15 si era evidenziata la necessità di costituire una banca dati nazionale. Del resto, nell’era dell’informatica, degli algoritmi e persino dell’intelligenza artificiale, che ci vorrebbe a ottenere dei dati più precisi? E non si tratta di mera statistica, ma della consapevolezza del problema da affrontare. Delle risorse necessarie per affrontare il problema delle persone disabili e di quanti altri (familiari, operatori, professionisti) vi ruotano attorno.

Manca un sistema di raccolta dati coordinato tra i sistemi regionali e quelli nazionali. Le ragioni? Non c’è l’implementazione pure prevista dal Decreto legislativo 151/2015. Ci si affida allo scambio delle informazioni fra le banche dati dei diversi servizi del territorio quali servizi sociali, sanitari, educativi e formativi. Considerate però le numerose criticità che si riscontrano ecco che quando i dati vengono elaborati da istituzioni diverse, i conti e i numeri non combaciano.

Si pensa di utilizzare la banca dati dell’Inps, ma è da sette anni che se ne parla e niente ancora viene fatto.

E così, politici e amministratori pubblici possono declinare numeri e percentuali adattandoli alle proprie tesi e convenienze. Immaginarsi se il Governo, l’Anpal (Agenzia nazionale politiche attive lavoro) o un amministratore regionale sarebbe disposto a dichiarare il disastro in cui versa il sistema del collocamento Disabili.

Si può ovviare attingendo i dati percepiti da Andel, l’Agenzia nazionale disabilità e lavoro che indica in dieci milioni le persone disabili in età lavorativa.

E che il 50 per cento di loro non è in cerca di lavoro, che i posti disponibili non coprono il 50 per cento del bisogno, che il numero dei collocati è in piccola parte riconducibile all’attività diretta del sistema del collocamento, che i servizi competenti non dispongono di personale preparato per curare l’incontro domanda/offerta e sostenere così i percorsi di accompagnamento al lavoro. Ancora: il 75 per cento degli iscritti necessita di un servizio di mediazione o sostegno all’inserimento, che l’ utilizzo delle buone prassi, unica via per favorire l’inserimento lavorativo del 50 per cento degli iscritti è alquanto sporadica e che oltre il 60 per cento è iscritto da più di cinque anni. Numeri e dati che dicono anche come meno del 10 per cento dei collocati ha ricevuto una proposta lavorativa diretta dal Collocamento Disabili e che circa il 90 per cento dei collocati al lavoro nell’arco di ventitré anni è avvenuto in autonomia, o tramite servizi territoriali, agenzie per il lavoro, enti accreditati.

Eccolo, allora il quadro del collocamento delle persone disabili in Italia. E dunque occorre farci maggiore attenzione.

Bachisio Zolo

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