Donne e disabilità: i falsi miti sulla salute sessuale

Le donne con disabilità non vengono riconosciute come persone sessualmente attive. Da qui, una serie di preconcetti e stereotipi riguardanti la loro salute sessuale, infondati e talvolta addirittura pericolosi come la convinzione che queste donne non possano contrarre malattie dell’apparato riproduttivo. O ancora, l’idea che non possano avere una relazione di coppia o diventare madri.

Tuttavia, nel Terzo Manifesto dell’Unione Europea, viene sancito il diritto di ragazze e donne con disabilità a essere protagoniste della propria vita anche in ambito sessuale e riproduttivo.

«È fondamentale che ci venga riconosciuto il diritto di scegliere liberamente riguardo al nostro corpo, di avere una relazione di coppia, di formare una famiglia e avere figli» sottolinea la vicepresidente Uildm (Unione Italiana Lotta Distrofia Muscolare) Stefania Pedroni. «La strada è ancora lunga ed è importante riconoscere stereotipi e pregiudizi, educare ed essere educate al rispetto del nostro corpo, in tutte le sue forme».

L’importanza delle famiglie

È quindi necessario un cambio radicale di prospettiva. Perché questo accada, però, si deve partire dalle famiglie. Secondo la vicepresidente Uildm infatti, i famigliari considerano queste donne come eterne bambine, “prive di una vita sessuale e tantomeno capaci di avere e crescere dei figli”.

Nonostante alcune di esse non maturino a livello psicologico, il loro corpo attraversa comunque la difficile fase della pubertà, con tutti i radicali cambiamenti a essa legati (crescita del seno, comparsa del ciclo).

È molto importante, come ricordato dalla dottoressa Federica Ricci, neuropsichiatra infantile e vicepresidente della Commissione medico-scientifica Uildm, non lasciarle sole in questo periodo così delicato.

«La famiglia deve diventare consapevole che la trasformazione del corpo da bambina a corpo adulto avviene nelle figlie con disabilità al pari delle loro coetanee “normodotate”. Quindi devono aiutarle in questa delicata trasformazione del corpo facendoglielo conoscere, attraverso l’esplorazione con le mani, il lavarsi e il guardarsi allo specchio».

Infine, come sottolinea Noemi Canavese, psicologa clinica del Gruppo Psicologici Uildm, la convinzione che le proprie figlie non abbiano una vita sessualmente attiva «si traduce in atteggiamenti poco costruttivi da parte delle pazienti con disabilità durante le visite. Si dimostrano timorose, vergognose e a disagio». Inoltre, prosegue la specialista, «nella maggior parte dei casi, le donne con disabilità vengono accompagnate alla visita da un famigliare o dal caregiver e ciò impedisce un rapporto diretto e la riservatezza necessaria a confidarsi con il medico».

Mancanza di strutture accessibili

Altro problema è la difficoltà ad accedere agli screening ginecologici. Dal report «Sessualità, maturità, disabilità» condotto dal Gruppo Psicologi e dal Gruppo Donne Uildm del 2022, è infatti emerso come su centotrentuno donne con disabilità, di età compresa tra i 19 e i 74 anni, solo il 55,6 per cento si sottopone con regolarità alle visite ginecologiche. Il restante 45 per cento non lo fa a causa della non accessibilità degli ambulatori. Nell’83 per cento dei casi manca il sollevatore; nel 61 per cento le pazienti hanno difficoltà ad assumere le posizioni adeguate a eseguire la visita e solo il 27 per cento ha trovato spogliatoi accessibili.

Difficoltà diagnostica

Come spiega la dottoressa Paola Castagna, componente della Commissione medico scientifica Uilmd Presidio Ospedaliero Sant’Anna Aou Città della Salute e della Scienza di Torino, «spesso è impossibile effettuare i pap test a causa dell’altezza non regolabile dei lettini; o eseguire la mammografia, perché il mammografo non scende fino al livello della carrozzina».

Per questi motivi, tra le donne con disabilità sono molto diffusi i tumori all’utero e al seno. La convinzione che le donne con disabilità non abbiano rapporti sessuali, inoltre, favorisce la diffusione di malattie sessualmente trasmissibili come l’Hiv.

A questo va ad aggiungersi il problema del personale medico non preparato, il quale costituisce un altro deterrente alla visita da parte di pazienti con disabilità.

Creare strutture inclusive e accessibili e formare il personale medico sembra quindi essere la strada per realizzare una vera prevenzione, unitamente al lavoro delle famiglie e delle pazienti stesse, le quali devono essere consapevoli della propria femminilità e del diritto a una vita sessuale completa.

Roberta Gatto

Lascia un commento