Quando andare al ristorante diventa un’impresa… possibile

Tra menù non accessibili e camerieri abilisti, un momento di convivialità può trasformarsi in una vera e propria sfida. Partiamo dalle basi. Perché la prima cosa su cui ci focalizziamo quando dobbiamo scegliere un ristorante è l’offerta di cibi e bevande. E già qui si apre un mondo.

Posto che sono davvero pochi i ristoranti con un menù completo e aggiornato disponibile sul proprio sito Internet, la vera sfida arriva quando ci si siede al tavolo. Siamo lì, con il nostro gruppo di amici o con il nostro compagno, amico, parente o quant’altro e il cameriere ci porta i menù.

Cartacei.

Per chi come me non vede, è un bel problema. Chi è a tavola con noi deve trasformarsi in donatore di voce e vocalizzare l’intero menù, spesso comprensivo di prezzi e allergeni.

Ora, immaginate quando le persone con disabilità visiva al tavolo sono più di una. Tipo che so, tre o quattro. O magari una decina. E al tavolo c’è una sola persona vedente.

Immaginate la confusione, la lentezza per poter ordinare. Perché anche se si legge una volta sola per tutti, ognuno ha le sue domande nel cassetto.

E se non è presente nemmeno una persona vedente che si fa? A quel punto si aspetta un cameriere e lo si fa diventare “lettore per un giorno”, possibilmente gli si chiede anche di impostare la voce e di interpretare il testo con sentimento, roba da far impallidire i migliori doppiatori italiani.

Touch me…nù

Tutto questo si può facilmente evitare utilizzando i menù digitali. Avete presente quando c’era il Covid e i menù cartacei erano considerati al pari di materiale radioattivo? Ecco, cosa facevamo allora?

Inquadravamo un qr-code et voilà, il menù (è il caso di dirlo) era servito. Sui nostri smartphone, accessibile con voice over.

Ora la pandemia è finita. Possiamo baciarci, abbracciarci, andare in ufficio con il raffreddore e impestare capo e colleghi.  Abbiamo buttato al vento mascherine, disinfettanti e tamponi. Ma perché non continuiamo almeno a rendere disponibili i menù digitali?

Siamo ciechi, non stupidi

Per quanto mi sembri superfluo ribadire questo concetto, chi ha una disabilità visiva non necessariamente ha anche problemi di comunicazione. Per intenderci, è molto brutto (per non dire pessimo) parlare con chi ci accompagna anziché con noi, come se non fossimo presenti.

Ad esempio, per prendere le ordinazioni, non è necessario chiedere a chi è con noi cosa prendiamo. Noi siamo presenti e possiamo benissimo ordinare da soli. Tanto più se il menù è accessibile.

E un’ultima cosa: superati i 20 anni, siamo considerati adulti anche noi. Non siamo ragazzi e ragazze e chi è al tavolo con noi non è per forza un genitore, un fratello o sorella maggiore o un accompagnatore/infermiere/baby sitter. Magari è nostro marito, nostra moglie o uno dei nostri figli. Cominciate a pensare a noi come persone in grado di avere una vita di coppia con conseguente genitorialità. Allora, magari pensare a noi come adulti vi verrà più semplice.

Il galateo a tavola

Quando sono in ristorante penso spesso ai romanzi storici della Harmony. Innanzitutto perché ne leggo una quantità imbarazzante (la media è di un centinaio all’anno) in secondo luogo perché in queste storie ci sono sempre dei ricevimenti in cui l’aristocrazia inglese dell’Ottocento siede a tavola e consuma i propri pasti facendo grande attenzione all’etichetta.

Ecco, se mi trovassi in una situazione del genere, creerei uno scandalo. Perché, come dire… quando non vedi, il galateo è proprio l’ultima cosa a cui pensi.

Insomma, per farla breve, mangio con le mani. Che sia bistecca, pizza, pesce, patate o pizza. Si salvano solo i primi, anche se pure il riso a volte… Vabbé, non scenderò in dettagli. Coltello e forchetta sembrano più che altro strumenti di tortura per il malcapitato cibo nel mio piatto.

A volte chiedo la cortesia di portarmi la pietanza già tagliata, a volte chiedo al commensale più vicino (solitamente il mio compagno). Quando sono con mio padre, invece, lì è tutta un’altra storia.

Cocca di papà

Nonostante io abbia quasi 40 anni, mio padre è convinto che ne abbia ancora 5. O meglio, pensa che la cecità mi abbia fatta regredire a uno stadio infantile, nel quale mi serve ancora il bavaglino. Sto esagerando, ma essendo mio padre, tende a preoccuparsi un filino troppo di come mangio. Ammetto che mi fa anche un po’ piacere, ma cavolo se è imbarazzante. Comunque, mio padre può. Voi no.

È vero che tagliare il cibo non è facile. È vero che ogni tanto mi porto alla bocca il nulla, convinta di aver infilzato un bel boccone succulento e invece ho infilzato l’aria. Ed è anche vero che a volte non centro perfettamente la bocca, o prendo un pezzo troppo grande e vi lascio immaginare l’eleganza con cui mangio (come ho detto, non credo sarò mai ospite a Buckingham Palace).

Ma essendo una persona adulta, se ho bisogno di aiuto lo chiedo. Non fate mai questo errore. Una manina fa sempre piacere, a meno che non si tratti di aiuto non richiesto. In quel caso, potreste ritrovarvi infilzati con la forchetta. E no, non sarebbe un errore di mira.

Non vedenti per un giorno

Se tutte queste peripezie vi hanno reso curiosi, potreste provare l’ebbrezza di sedervi a tavola come un non vedente per una volta. No, non diventerete affascinanti come noi (certe doti o ce le hai o non ce le hai) e l’Inps non comincerà a versarvi la pensione ogni mese. Non potrete nemmeno parcheggiare nei posti riservati a chi ha una disabilità, mi spiace, so che per molti di voi è un sogno ricorrente.

Ma potreste partecipare a un’esperienza al buio. Una cena, ad esempio. Per la maggior parte delle persone si tratta di una bella esperienza, ma mi sento di mettervi in guardia. Passare due ore o più al buio non è per tutti. Se ve la sentite, però, potreste scoprire abilità che non sapevate di avere. Ad esempio, un olfatto e un senso del gusto migliore di quanto credete.

Sicuramente, vi aiuterà a prendere coscienza di come sia per noi un pranzo o una cena. Magari abbandonerete i pietismi, le mitizzazioni e capirete che non vedere è soltanto una condizione, non il punto centrale sul quale si costruisce la reale essenza di una persona.

Non è una mancanza o un deficit. È una caratteristica per cui certe cose richiedono degli aggiustamenti, tanto da parte nostra quanto da parte della società. È qualcosa con cui si può convivere serenamente. Con cui si può persino andare a cena. E bere un bicchiere di vino alla salute.

Roberta Gatto

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